Vol. 7 - N° 1

Gpic Notizie dal Blog di Gian Paolo ? Vol. 7 - N 1

IN EVIDENZA NEL MESE

Da repubblica bananiera a inferno invivibile

Chi per la prima volta si trova a passare nella zona popolare di Tegucigalpa, la capitale dell'Honduras, può aver l'impressione di trovarsi in uno dei tanti sobborghi latinoamericani, se non fosse per un dettaglio: i soldati in assetto di guerra che girano per le strade. Il fatto è che Honduras è diventato il paese più pericoloso al di fuori delle zone di guerra dichiarata. Il tasso di omicidi era di 90,4 ogni 100.000 abitanti nel 2012 e da allora si è andato incrementando. Ampie zone della capitale sono in mano a bande violente e assassine. La polizia mal equipaggiata, inefficiente e spesso complice nel crimine rimane inerte davanti allo spettacolo di 20 assassinati al giorno, cinque volte il tasso di Chicago, la città nord americana più violenta.

Chiusa tra il Nicaragua a sud e il Guatemala a nord, l'Honduras è stata la prima "repubblica delle banane", termine coniato dallo scrittore americano William Sydney Porter per descrivere un paese in balia alle società di frutta senza scrupoli. Oggi dall'Honduras passa invece l'80 per cento della cocaina che raggiunge il suolo americano con il suo seguito di violenza nel suo commercio e nel far prosperare le bande. Le operazioni antidroga degli Stati Uniti rivolte contro i cartelli a sud in Colombia e a nord in Messico, hanno spinto le bande di narcotrafficanti verso l'Honduras, paese situato a metà strada tra i campi di coca del bacino amazzonico e i consumatori delle città nord americane. Piccoli aerei solcano le zone poco abitate ai confini dei diversi paesi della zona, usano piste nascoste nella foresta, volano di notte, vengono abbandonati e distrutti dopo pochi viaggi per non essere identificati. I potenti, i trafficanti, i politici si arricchiscono e la gente normale affonda nella miseria, spesso derubati e vittime delle bande armate presenti ovunque. Rapimenti, rapine, aggressioni e omicidi, "tassa di guerra" - termine locale per i racket di protezione - imposta alle piccole imprese, alle scuole, ai privati, si susseguono nell'impunità. Continua a leggere

UNA BELLA NOTIZIA

Aumenta la trasparenza delle spese militari

La trasparenza delle spese militari contribuisce alla sua riduzione, alla fiducia tra i paesi e quindi alla sicurezza internazionale. Ecco perché, dal 1981, l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha iniziato a pubblicare - sul sito UNODA - le relazioni annuali delle spese militari che i paesi fornivano su base volontaria. La risposta non è stata molto entusiasta perché i 193 membri dell'ONU considerano il preventivo e le spese militari un assunto segreto. Eppure questa spesa ha raggiunto nel 2017 i 1,7 bilioni di euro, una quantità di denaro enorme che potrebbe essere destinata all'assistenza allo sviluppo e ai 100.000 milioni di euro necessari per ridurre le emissioni di gas serra e l'impatto dei cambiamenti climatici.

Finora, secondo l'UNODA, circa 126 stati hanno inviato rapporti su base regolare o almeno una volta, ma pochi lo fanno ogni anno. Molti, invece, i paesi dell'Africa sub-sahariana che hanno recentemente reso pubblica la loro spesa militare, secondo il rapporto dell'International Peace Research Institute di Stoccolma (Vedi SIPRI Yearbook Summary 2018: edizione italiana). I paesi più trasparenti in questa materia sono Burkina Faso, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio, Ghana, Namibia, Sudafrica e Tanzania. I meno trasparenti sono Eritrea, Etiopia, Malawi, Lesotho, Gambia, Guinea Equatoriale e Gibuti.

Secondo il SIPRI, la trasparenza nelle spese militari dell'Africa sub-sahariana è maggiore del previsto, mentre le relazioni sulle spese militari inviate all'ONU per quanto riguarda le spese militari nel 2017 da ogni parte del mondo, hanno raggiunto il livello più basso perché solo 32 paesi lo hanno fatto. Nel periodo 2008-2017, solo cinque paesi dell'Africa sub-sahariana hanno inviato un rapporto all'ONU almeno una volta, nessuno lo ha fatto tra il 2015 e il 2017. Eppure 45 dei 47 paesi dell'Africa sub-sahariana hanno pubblicato in Internet almeno un documento sui loro bilanci della difesa e sulle spese militari tra il 2012 e il 2016. È curioso che molti paesi dell'Africa pubblichino i loro rapporti, ma non li mandino all'ONU. La grande maggioranza dei paesi che hanno inviato all'ONU i bilanci militari del 2017 sono europei. Il resto del mondo vi è rappresentato molto male.

La trasparenza in America Latina è relativamente alta, poiché tutti i paesi di solito forniscono informazioni utili e dettagliate. In Asia, la trasparenza invece è variabile: India, Pakistan, Bangladesh, Filippine, Malesia, Kazakistan e Indonesia pubblicano dati sulla loro spesa militare, ma Vietnam, Cambogia, Laos, Corea del Nord, l'Uzbekistan e il Turkmenistan non lo fanno; le informazioni della Cina non sono attendibili. Lo stesso vale per il Medio Oriente: Turchia, Israele, Iran e Giordania pubblicano relazioni dettagliate, mentre quelli dell'Arabia Saudita, Marocco, Egitto e Iraq sono minimi, e per gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar non ci sono dati utili.

Le informazioni sulla spesa militare aiutano a creare fiducia tra i paesi e determinano se le armi accumulate sono eccessive o destabilizzanti. Inoltre tutti hanno il diritto di sapere come e dove vanno a finire i fondi pubblici. Conoscere i bilanci militari, comunque, non è abbastanza. Ad esempio, il potere di distruzione delle armi leggere e di piccolo calibro è sproporzionato rispetto al loro costo relativamente modesto.

Per saperne di più, Spese militari, record nel mondo: 1.739 miliardi di dollari nel 2017;  Sono stati pubblicati i dati sulla spesa militare mondiale nel 2017. Vedi anche SIPRI Yearbook 2018  

UNA BRUTTA NOTIZIA

Dove va a finire il sogno nordamericano

Un quarto delle persone detenute nelle prigioni di tutto il mondo si "trovano" nelle carceri nordamericane: circa 2,2 milioni di persone. I governi federale e nazionali spendono ogni anno circa un quarto di trilione di dollari su ciò che il sito Web del senatore Cory Booker chiama "un sistema di giustizia arretrato e criminale" (Justice and Public Safety: Criminal Justice Reform, vedi Le prigioni private americane guadagnano incarcerando sempre più immigrati). Inoltre, secondo il Southern Poverty Law Center (SPLC nella sigla inglese), "Ogni giorno, circa 7 milioni di persone - quasi una ogni 31 - sono sotto il controllo del sistema correzionale, in stato di fermo o in libertà vigilata o condizionale" (Criminal Justice Reform. Confronta Stati Uniti. Carcere e rieducazione nel paese dei diritti contraddittori).

Lo SPLC afferma che il sistema carcerario degli Stati Uniti "è segnato da vaste disparità razziali perché stigmatizza e prende di mira la gioventù di colore che arresta in giovane età, punisce ingiustamente le comunità dei neri, oberandole di oneri fiscali ed caricandole di enormi costi sociali. Oggigiorno i giovani neri che non sono riusciti a finire la scuola superiore hanno più probabilità di finire dietro le sbarre che di trovare un impiego" (Vedi La nuova apartheid americana).

La popolazione carceraria federale nordamericana è cresciuta dell'800% negli ultimi tre decenni. Il sito di Booker attribuisce questa realtà a "condanne eccessivamente punitive per crimini di droga non violenti e per delitti minori" e afferma che oggi negli Stati Uniti ci sono in carcere per reati di droga più persone che l'intera popolazione carceraria del 1970, quando fu dichiarata la "Guerra alla droga".

Una volta che viene rilasciata dalla prigione, una persona incontra enormi sfide per reintegrarsi nelle propria comunità e per cercare di reinserirsi nel mondo del lavoro. L'American Bar Association ha identificato oltre 46.000 cosiddette "conseguenze collaterali" che chiudono il cammino alla gente molto tempo dopo aver completato la loro pena ed essere tornata libera nella società. In 13 stati, le persone condannate per determinati crimini perdono il diritto di voto per un tempo indeterminato. Altre conseguenze possono trasformarsi in ostacoli vari per ottenere un posto di lavoro, come, ad esempio, le restrizioni sulla possibilità di ottenere licenze professionali o divieti ad una licenza commerciale, per l'edilizia pubblica e l'insegnamento. Un rapporto Brookings afferma: "Un sistema di giustizia criminale che enfatizza l'incarcerazione ma non aiuta il cammino di reinserimento sociale fa un cattivo servizio a chi è stato in carcere e alla società intera" (Twelve facts about incarceration and prisoner reentry, vedi anche Classe, razza e iperincarcerazione nell’America revanchista).

Il tasso di incarcerazione - il numero di prigionieri per 100.000 abitanti - negli Stati Uniti è aumentato di due terzi tra il 1990 e il 2008, da 461 al 787 presi. Su questo punto, gli Stati Uniti sono il numero 1. Le prigioni USA detengono il numero più alto dei cittadini di qualsiasi altro paese al mondo, non solo ma nessun paese gli va nemmeno a ruota. In proporzione alla sua popolazione, gli Stati Uniti hanno 17 volte più prigionieri dell'Islanda, 12 volte più del Giappone e 10 volte più della Svizzera. L'unico paese che ha più o meno lo stesso standard degli USA è la Russia. Queste cifre non solo surclassano i paesi sviluppati, ma perfino tutti i paesi meno sviluppati. Nonostante il leggero calo del 2011, il tasso degli Stati Uniti rimane oltre 700 prigionieri per ogni 100.000 residenti. Il Ruanda, che ha il più alto tasso di prigionieri di tutta l'Africa, è a quota 595 per ogni 100.000 abitanti (molti dei quali accusati di aver partecipato alla rivolta del 1994). La quota più alta in America centrale, appartiene al Belize con 439 prigionieri per 100.000 abitanti, mentre la più alta del Sud America è del Cile con 305. La più alta in Asia appartiene al Kazakistan a 351 (Vedi Popolazione carceraria negli Stati Uniti d'America). Per saperne di più vedi, in inglese “Six Charts that Explain Why Our Prison System Is So Insane”; in italiano L'affermazione del carcere

CELEBRIAMO!

Amazzonia. Il Sinodo dei vescovi del 2019

Al termine della messa del 15 ottobre 2018 Papa Francesco convocava il Sinodo per l’Amazzonia che si terrà a ottobre del 2019 a Roma. Il Sinodo è un organo consultivo di vescovi, che al termine delle proprie assemblee presenta al papa le proposte frutto delle discussioni sull’argomento.

In questo caso, a Roma si riuniranno i vescovi dell’America latina e discuteranno il tema della tutela della regione amazzonica e dell’evangelizzazione dei popoli che vi abitano, specialmente degli indigeni, “spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, anche a causa della crisi della foresta Amazzonica”, ha dichiarato il pontefice. Già nel 2013 a Rio de Janeiro papa Francesco aveva dichiarato che “l’Amazzonia è una verifica decisiva, un banco di prova per la Chiesa e la società” e grazie al suo intervento è nata la REPAM (Rete ecclesiale pan-amazzonica).

Dopo l’enciclica Laudato Sì, questo Sinodo dimostra l’interesse della Chiesa cattolica in favore della tutela dell’ambiente e delle popolazioni minacciate dai cambiamenti climatici. L’Amazzonia è uno dei polmoni dell’umanità e nella regione amazzonica vivono diverse comunità di indigeni minacciate dall’inquinamento, dal rapido cambiamento dell’ecosistema e dalla violazione dei loro fondamentali diritti umani. Dal 20 al 23 agosto del 2018, si è poi tenuto a Manaus (Brasile) il 3° Incontro dei Vescovi dell'Amazzonia. Il suo principale obiettivo era riflettere sulla preparazione al questo Sinodo lavorando sul suo documento preparatorio per realizzare un “processo di ascolto della comunità” e conoscere la realtà sociale, religiosa, culturale amazzonica. Vedi Repam: anche gli europei sono parte dell’Amazzonia e il Documento preparatorio per il Sinodo sull’Amazzonia (sintesi)

AGIAMO!

Ridare il potere ai popoli, il nostro diritto a dire di no!

Provenienti da 60 paesi dell'America, dell'Asia e dell'Europa, di cui 28 dall'Africa, erano i rappresenti di variegati gruppi della società civile. Riconosciuto che li legava un comune desiderio di avere un futuro libero dagli effetti distruttivi dell'estrattivismo, essi hanno fatto una dichiarazione (Estratto a cura di Jpic-jp.org)

L'estrattivismo è un modello distruttivo basato sullo sfruttamento delle "risorse naturali" e delle persone: l'industria mineraria è il fattore più grave. Negli ultimi decenni, abbiamo visto intensificarsi questo modello coloniale, basato sull'illusione di possibile crescita economica senza fine su un pianeta limitato. Si stanno così rapidamente minando le condizioni che rendono possibile la vita sulla terra. In nome del progresso e dello sviluppo, si è devastato e degradato. Questo processo ha coinvolto il super-sfruttamento di lavoratori, l'espropriazione sistematica alle comunità, l'intensificazione delle condizioni di riscaldamento globale e l'ingiustizia climatica. Si sono sottoposte le economie locali a una logica di accumulazione della ricchezza che avvantaggia solo le multinazionali, i nuovi governanti del mondo. Li guida la logica di sfruttare ogni crisi per appesantire il loro assalto alla natura, aprendo nuove frontiere per ulteriori mercificazioni e finanziarizzazioni. Oceani, fiumi, foreste, interi ecosistemi sono messi al servizio del profitto. Accanto a questo processo di ricolonizzazione e di lotta per il controllo delle ormai scarse risorse strategiche da parte di potenze globali e regionali in competizione, si trova lo spettro di nuove guerre di genocidio, che vedranno lo sterminio degli "esclusi" e degli emarginati.

I contadini, i piccoli agricoltori, i migranti, i rifugiati, i pastori, gli sfollati, le donne indigene e della classe lavoratrice sono schiavizzati da questo modello di sviluppo estrattivo. Lavorano duramente per garantire la sopravvivenza della famiglia e della comunità in condizioni sempre più precarie. Il loro lavoro di protezione, di produzione per la sussistenza, di lotta alla riproduzione sociale e di mantenimento dei fragili ecosistemi minacciati, è tenuto invisibile, non riconosciuto, sottovalutato e finisce per sovvenzionare i profitti del capitale. L'estrattivismo, inoltre, sta eliminando i diritti dei lavoratori, laddove esistono. Le norme sulla salute e la sicurezza sono sistematicamente violate, il lavoro reso informale e i salari ridotti, il sindacalismo militante attaccato e consentito solo se condiscendente. Continua a leggere  

CONOSCERE GLI OBIETTI SS

17 obiettivi per trasformare il nostro mondo

Nel 2015, l'ONU ha adottato l'Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, un'opportunità per i paesi e le loro società di intraprendere un percorso nuovo con il quale migliorare la vita di tutti, senza lasciare indietro nessuno. L'Agenda ha 17 obiettivi, che vanno dall'eliminazione della povertà e l'uguaglianza per tutti alla lotta contro il cambiamento climatico, dall'educazione all'accesso all'energia e all'acqua, dalla difesa dell'ambiente alla progettazione delle nostre città, dallo sviluppo delle infrastrutture alle linee guida per il consumo. Un progetto ambizioso e abbastanza "neutrale", cioè senza troppe connotazioni ideologiche e, inoltre, universale, e quindi applicabile a tutti i paesi, compresi quelli definiti "sviluppati".

Per realizzare i 17 obiettivi, nel periodo 2016-2030, sono state stabilite 169 mete e, il tutto, introdotto da una dichiarazione politica. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile prendono il posto degli 8 obiettivi di sviluppo del millennio in vigore dal 2000 (ODS). Nella pagina web qui indicata, sono illustrati quali sono questi obiettivi 17 obiettivi di uno sviluppo sostenibile. Nella pagina del sito web dell'ONU in spagnolo, purtroppo non disponibile in italiano, si trova anche l'iniziativa Rendi possibile il cambiamento che ci aiuta a "dare l'esempio" quando parliamo degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Questa campagna vuole guidare e incoraggiare a vivere in modo più sostenibile sul lavoro e a casa, cambiando i nostri modelli di consumo, utilizzando mezzi di trasporto più attivi, e comprare cibi locali. Tutti sono invitati a parteciparvi. Ogni piccolo contributo è utile, come parlare con la famiglia, gli amici e le persone della comunità in cui si vive delle azioni che tutti possiamo compiere quotidianamente.

È facile essere parte di questo cambiamento. E per renderlo ancora più facile e avere il maggior impatto possibile, l'ONU ha preparato una serie di strumenti che possono essere utilizzati nel lavoro, a scuola o all'università, e nell'organizzazione di ogni iniziativa: fare un progetto di riciclaggio, andare un giorno in bicicletta al lavoro, o qualcosa che riguarda la comunità, come insegnare ai bambini quanto sia importante agire per combattere il cambiamento climatico.

Un buon modo per iniziare a far parte del cambiamento è consultare Guida per i pigri La Guida per i pigri per salvare il mondo, disponibile in spagnolo e inglese, che indica come vivere in modo sostenibile ogni giorno! È inoltre possibile controllare le 170 azioni per trasformare il mondo in cui sono presentate le attività per ciascuno dei 17 OSS. Questo blog, ogni mese e in questa sezione presenterà uno per uno questi 17 OS Vedi il video: I 17 Obiettivi di Sostenibilità delle Nazioni Unite

CONTINUARE A SPERARE

Assapora i suoni del Kenya

Questo video è un bel esempio di racconto musicale, riassume 12 giorni di registrazioni fatte sul terreno in Kenya ed è una veridica fotografia del Paese, anche se non vi da ragione di tutta la realtà. C'è molto altro da scoprire perchè il Kenya ha parchi, savane, bellissime spiagge, città con alti grattacieli (i più alti dell'Africa centro-orientale), grandi infrastrutture e innovazioni, attività commerciali, di cui questo video non parla. Il video è tuttavia una straordinaria opportunità di assaporare la bellezza di luoghi, popoli e culture diverse. E in realtà l'Africa è un bellissimo continente pieno di allegria, musica, colori, varietà di culture, spiritualità, amicizia e gioia di vivere che sprizza da tutti i pori. Perché mai allora emigra la gente africana? La realtà è che NON vuole migrare, vuole vivere in quei luoghi meravigliosi dove è nata e dove si sente a casa sua. È il loro vero diritto è quello di NON migrare. Purtroppo "qualcuno"  li butta fuori per occupare il loro posto, impossessarsi della loro casa, della loro terra, della ricchezza nascosta nel loro sottosuolo. Lasceresti tu una " casa amata" se non fossi scacciato? Pensa a questo mentre guardi questo bellissimo video

DA RIFLETTERE

Perché gli Stati Uniti non devono ignorare la lotta per l'identità del Sud Sudan

Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo efficace nell'incoraggiare le parti belligeranti del Sudan a firmare un accordo di pace nel 2005 ponendo fine a decenni di guerra civile tra il Nord e il Sud. L'accordo ha indotto la creazione del Sud Sudan, ma gli sforzi degli Stati Uniti sono serviti anche per combattere il terrorismo nel corno d'Africa.

Dal 2005, gli Stati Uniti hanno speso 14 Miliardi di dollari nel Sud Sudan per far fronte alle necessità di sviluppo e umanitarie. Ma sette anni dopo l'indipendenza, la lotta per l'identità del South Sudan è lontana dall'essere risolta. I Sud Sudanesi devono ancora determinare chi sono e cosa scegliere per dare un'anima al loro paese. La costituzione sud sudanese doveva rispondere a queste domande con il presupposto che tutte le persone del Sud Sudan sono uguali, con diritti inalienabili. Con l'assenza di un senso nazionale di appartenenza, però, l'etnia è tornata rivestita di vendetta.

La democrazia ha avuto una falsa partenza in Sud Sudan. Le idee democratiche sono state magari assunte dalla costituzione ma non sono entrate nella legislatura. Nel suo primo anno come stato, il Sud Sudan è stato caratterizzato da violenza e disordine. Sciovinismo etnico, nepotismo, corruzione e puro disprezzo per le leggi e l'ordine, e le tendenze autoritarie istituzionalizzate hanno dato come risultato uno stato in convulsione.

Dal 2013, il Sud Sudan è stato fatto a pezzi dalla guerra civile. Quasi 400.000 persone hanno perso la vita; 2 milioni sono gli sfollati. Sono inimmaginabili la violenza sessuale contro le donne e ragazze, gli sfratti civili di massa, i saccheggi ovunque di risorse naturali. Tutto questo è stato reso possibile da una elite politica e militare senza scrupoli.

Questa non è la prima volta che il Sud Sudan si è trovato diviso su come governare una società multietnica, ne questa è la prima volta che la leadership politica sud sudanese ha fallito nell'evitare gli orrori della violenza sponsorizzata dallo stato e diretta contro i suoi cittadini. Durante i 22 anni di guerra civile (1983-2005) tra il nord e il sud, 2 milioni di sud sudanesi hanno perso la vita, e 4 milioni furono sfollati. La guerra fu innescata da una limitata visione razziale e religiosa dello stato che privilegiava le connotazioni Arabe e Islamiche della società escludendo e sopprimendo le altre. Continua la lettura  

RISORSE

La guerra segreta degli Usa

Gli Stati Uniti stanno combattendo una guerra “segreta” in Tunisia. Come riporta The National Interest, il mese scorso, un portavoce del Comando Usa Africa ha confermato a Task & Purpose che i Marine Corps Raiders sono stati coinvolti in una feroce battaglia nel 2017 in un “anonimo” Paese del Nord Africa dove hanno combattuto al fianco di partner contro al Qaeda nel Maghreb islamico.

In quel caso, l’Africom ha evitato di rivelare la posizione esatta dei marines per questioni “di sicurezza e diplomatiche”. Dalle ultime notizie emerge tuttavia un fatto: che quel Paese è la Tunisia, dove il coinvolgimento americano è molto più radicato di quanto non fosse noto prima. Tutte le prove indicano che la battaglia del 2017 contro Al Qaeda avvenne, infatti, sul Monte Semmama, una catena montuosa nel governatorato di Kasserine, vicino al confine con l’Algeria. Si tratta del primo coinvolgimento diretto di Washington in Tunisia dalla Seconda guerra mondiale, in un Paese che negli ultimi sette anni sta combattendo un’insurrezione di basso livello nell’ovest del Paese. 

Gli Stati Uniti in Africa

In generale, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria presenza in tutto il continente africano. Secondo la rivista Vice, le truppe statunitensi stanno conducendo 3.500 operazioni militari in Africa ogni anno, con una media di 10 al giorno – che segna un aumento del 1.900% rispetto a 10 anni fa. Proprio come in Tunisia, vengono classificate come “operazioni segrete” o di “assistenza”. Come riporta anche Politico, il portavoce dell’Africa Command si rifiuta di rivelare ufficialmente quali sono i Paesi in cui sono coinvolte direttamente le truppe Usa: a parlare sono gli ex ufficiali Usa, che individuano un totale di otto Paesi, oltre a Libia e Somalia, che sono i due più noti. Ci sono Kenya, Camerun, Mali, Mauritania, Niger e la Tunisia

Assistenza e protezione dei confini

La battaglia che ha coinvolto le truppe statunitensi in Tunisia fa parte di un’intensa campagna militare contro al Qaeda nella sua roccaforte montana. Non a caso, proprio la Tunisia è il Paese del Nord Africa che riceve più aiuti dagli Stati Uniti nell’ambito della difesa rispetto a qualsiasi altro, Egitto escluso. “Dalla rivoluzione del 2011 – osserva Héni Nsaibia su The National Interest – la Tunisia si è caricata di grandi aspettative come modello regionale per la democrazia, mirata a costruire un consenso politico e sostenendo un’economia in crescita – anche se le sfide sulla sicurezza non mancano. In questo contesto, gli Stati Uniti hanno cercato di sostenere la traballante transizione democratica della Tunisia principalmente rinforzando le proprie forze armate, che hanno ricevuto un’assistenza in costante aumento dal 2014 al 2017”. La partnership, sottolinea Nsaibia, “è multilivello. Prevede il rafforzamento della sicurezza delle frontiere e la formazione dell’esercito nelle strategie e nelle tattiche di antiterrorismo”. Continua a leggere  

TESTIMONIANZA

Possiamo lottare contro il cambiamento climatico? Sì possiamo

Il denaro è ciò che fa più male. Popovic, il fondatore di Otpor (Basta!), un movimento studentesco, che ha avuto un ruolo importante nel far cadere il potere del dittatore serbo Slobodan Milosevic, ha creato nel 2004 il “Centre for Applied Non Violent Action and Strategies” (CANVAS) - Centro per Realizzare Azioni e Strategie non violente-.

Nel suo ultimo libro, Blueprint for Revolution (Piano per la rivoluzione), che ha presentato ad Oslo Freedom Forum, parla di un decalogo per giungere alla vittoria con mezzi pacifici. Confrontando alcune tattiche fra loro, Popovic raccomanda di “seguire quella che implica una maggiore perdita economica” per il potere contro il quale la protesta è organizzata. Egli ricorda l'esempio classico, il boicottaggio dei bus a Montgomery (Alabama, Stati Uniti) e sottolinea: "Una protesta come questa poteva essere fatta anche nei bagni pubblici, ma il fatto di non utilizzare un mezzo di trasporto ha comportato una perdita economica importante”. Oggi, la società civile inizia ad usare tale tattica, per costringere i poteri pubblici a lottare contro il cambiamento climatico. Facendo tesoro di questo metodo, dieci famiglie stanno facendo causa alla UE, per il fatto che non sono state prese misure reali contro i cambiamenti climatici.

Il 13 agosto 2018, la Corte dell'Unione europea ha accettato di esaminare la denuncia.

Il riscaldamento climatico oltrepassa le frontiere nazionali. Gli agricoltori prevedono che il calore danneggerà i raccolti estivi e che le città faticheranno ad impedire la morte dei loro alberi.

( Leggere: Cedri del Libano a rischio a causa dei cambiamenti climatici).

Molte persone perderanno la loro casa a causa di un incendio e si prevede un aumento di decessi legati al caldo. Le persone che più soffriranno saranno i malati e gli anziani. Il numero di morti, nella sola Europa, dovuti a catastrofi climatiche, si moltiplicheranno per 50 alla fine del 21° secolo. Attualmente 3000 persone muoiono ogni anno in seguito ad ondate di calore, ma questa cifra potrebbe raggiungere 150.000 persone ogni anno da ora al 2100 (Leggi OMS: “7 milioni i decessi causati da cambiamenti clima e smog” e Studio Ue: Condizioni meteo estreme: a rischio più di 152mila persone l'anno in Europa entro il 2100).

Gli avvocati di People's Climate Case hanno riempito 5000 pagine di prove, per dimostrare che la UE non attua misure sufficienti e necessarie prontamente e con determinazione e tutto questo determina conseguenze disastrose. People's Climate Case è il processo intentato da famiglie del Portogallo, di Germania, di Francia, di Italia, di Romania, del Kenya e delle Isole Fiji, nonché dalla Saami Youth Asociation Sàminuorra ( Associazione svedese di giovani Sàmis).

Questo processo alle istituzioni della UE mira a porre un freno a questo dannoso cambiamento climatico. E' stata appena pubblicata una lettera aperta, di solidarietà sottoscritta da circa

110.000 cittadini dai quattro angoli dell'Europa. Si vuole che il Consiglio dell'Unione Europea e il Parlamento europeo ascoltino la voce dei loro popoli e la testimonianza di gente come George Elter. Questo agricoltore vive in un piccolo villaggio delle Alpi italiane e produce alimenti biologici locali. E' testimone del fatto che, le piante regionali delle sue montagne non fioriscono più, o al contrario, fioriscono troppo presto. E' direttamente coinvolto nel processo alla UE: "Questa azione in giustizia è molto importante. I nostri governanti devono capire che bisogna agire con forza ed in modo radicale, prima che sia troppo tardi “. Qui sotto gli indirizzi dove leggere ed eventualmente firmare la lettera.

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