Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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"Il cibo sarà un'arma legittima di guerra"

Mundo Negro 22.01.2020 Carla Fibla García-Sala Tradotto da: Jpic-jp.org

“Non stiamo aiutando l'Africa e gli africani. È un grande autoinganno delle persone con buone intenzioni”. L'economista Benny Dembitzer ha trascorso 35 anni lavorando per organizzazioni governative e non governative, il che gli consente di assumere una feroce critica contro i governi disfunzionali e la rivalità tra le organizzazioni internazionali. Ha appena pubblicato El hambre del vecino. África arde, el Norte observa (La fame del vicino. L'Africa brucia, il Nord guarda). Intervista.

Leggendo all'inizio del suo libro, il J'accuse (io accuso), c’è da pensare che la soluzione è lasciare l'Africa in pace, pensando ai danni perpetrati dall'Occidente dalla colonizzazione ad oggi?

Non esiste una soluzione semplice. Viviamo in un mondo così complesso che anche il non intervento, ad esempio sulla questione del cambiamento climatico, sarebbe peggiore. Siamo chiari, lasciare l'Africa da sola non è la soluzione. Sì, si dovrebbe cambiare il modo in cui ci avviciniamo all'Africa, evitando lo scontro.

È possibile per l'Occidente cambiare il modo in cui si vede e si trattano i paesi dell'Africa?

Si può cambiare il modo di avvicinarsi, di stare davanti agli africani. Sostengo un cambiamento di comprensione: cercare di far capire che la situazione in Africa, le sue sfide, la crescente povertà, la malnutrizione, il numero di bambini nati con un peso ridotto e che non si riprenderanno per tutta la vita, tutto ha un'origine e si sta perpetuando. Questa relazione non cambia in un anno o due, ma può cambiare.

Quali dovrebbero essere i primi passi?

Fare una netta differenza tra gli aiuti di emergenza e lo sviluppo a lungo termine, perché i due sono spesso confusi. Quello che fa la Croce Rossa Internazionale è meraviglioso, lo stesso di può dire di altre organizzazioni, ma se dai alla gente il cibo devi accettare che esse smetteranno di coltivare, a meno che non prometti di comprare il loro raccolto o di aiutarli a coltivarlo. Se continui a darglielo, cambi il modo in cui hanno sempre vissuto. Inoltre, occorre distinguere tra l'aiuto a breve termine, che è per i casi disperati, e quello a lungo termine, che deve essere affrontato in modo diverso.

L'esistenza di organizzazioni internazionali che cercano di sradicare la fame non aiuta?

Il il Programma Mondiale per il Cibo (World Food Program - WFP) fornisce cibo, ma non è stato creato per aiutare i più poveri, ma perché gli Stati Uniti potessero sbarazzarsi del loro cibo in eccesso. Nel mio libro, La fame del vicino. L'Africa brucia e il Nord osserva, menziono quattro rapporti in cui risulta che nel 1963, durante il volo che portò Eugene McCarthy a Roma, insieme al Segretario di Stato Nord Americano per l'Agricoltura, per rappresentare il governo degli Stati Uniti all'incontro annuale della FAO, i due discussero del bisogno di aumentare il cibo nel mondo e della necessità di sbarazzarsi del surplus di alimenti negli USA, generato dai prezzi garantiti agli agricoltori nord-americani. Ne discussero durante le sei ore di volo. Appena sbarcati a Roma, chiamarono il presidente Kennedy e gli dissero che pensavano di proporre la creazione di un'istituzione che acquisti il cibo in eccesso da paesi come Stati Uniti, Canada, Australia, tra gli altri, per darlo a paesi con un deficit alimentare. E Kennedy diede il suo consenso.

Bill e Melinda Gates spendono milioni per eradicare la malaria quando lei dice che è impossibile farlo. In che livello di inganno credi che viviamo?

Non c'è niente senza conseguenze, e queste sono spesso inaspettate. La Gates Foundation ha investito milioni di dollari per sviluppare vaccini economici e sovvenziona l'UNICEF a cui li fornisce. Il numero di vaccini nel mondo è cresciuto, così come il loro prezzo (circa del 300%). Il problema è che l'UNICEF ha creato una catena di unità refrigeranti, un sistema per trasportarle, un buon controllo del sistema nei porti e negli aeroporti, tutto fantastico, ma un processo che non è disponibile per altre aziende o organizzazioni che potrebbero anche loro fornire vaccini. Qual è lo scopo? Che si vaccinino tutti o che il numero di persone raggiunte dai vaccini sia ridotto? È una scelta diabolica.

Lei fornisce dati affidabili: nell'Africa subsahariana tra 6.000 e 8.000 persone muoiono di fame ogni giorno. Nel 1980 l'Africa non importava cibo: oggi investe 35 milioni di euro all'anno in cibo. Meno del 40% ha accesso all'acqua potabile. Solo il 30% vive in condizioni igieniche idonee, una percentuale aumentata solo del 4% dal 1990. È la sua una percezione negativa o le cose stanno peggiorando?

Peggiorano.

Come si può cambiare la situazione?

Le soluzioni sono: incoraggiare e sostenere le società africane ad adottare unioni di credito e sistemi di risparmio. Sebbene sorprendenti, le cifre in Africa sono imprecise. Ad esempio, la Repubblica Democratica del Congo non ha fatto un censimento dalla sua indipendenza nell'anno 60. Non conosciamo la realtà, si tratta di stime, ma l'estrapolazione dei dati delle organizzazioni dell’ONU e della Banca Africana di Sviluppo indica che il numero di bambini che si trovano in una situazione di carestia non è cambiato molto, si aggira intorno al 40 o 50% in paesi come Uganda, Ruanda, Tanzania o Etiopia. Mentre aumenta il numero delle persone in povertà assoluta e in situazione d’insicurezza alimentare, tanti non sanno se domani mangeranno.

Perché non è possibile controllare la povertà?

Fattori esterni. Ovviamente le guerre, Boko Haram in tutta la regione del Sahel. La Somalia, nel Corno d'Africa, è da decenni una zona disastrata. La povertà è in aumento e ciò che crediamo stia migliorando è ciò che può essere misurato: il numero di chilometri di strade, il numero di centri commerciali, il numero di Starbucks. Sappiamo che le condizioni di vita stanno peggiorando nelle zone rurali, questa è la realtà. Ma i donatori non devono, non vogliono saperlo. In Tanzania c'è una nuova legge che penalizza chiunque dia informazioni ‘negative’, quelle che il Governo considera peggiorative, e uno può essere messo in galera. La verità è molto pericolosa.

L'ONU e la comunità internazionale hanno fallito?

Sì. Ma le agenzie dell’ONU assicurano che la povertà estrema è stata ridotta. I bisogni aumentano più velocemente dell'aiuto che stiamo dando perché le cause sono cumulative. Al vertice sui cambiamenti climatici di Parigi si è detto che con un aumento di 1,5 gradi saremmo andati incontro alla la catastrofe. In Antartide si sono già superati i tre gradi. Tra 30 anni non ci sarà ghiaccio, e lo stesso vale in Africa: non c'è abbastanza acqua per una popolazione che continua a crescere.

Perché non si prendono iniziative politiche?

Ai politici interessa solo essere rieletti, non quello che accadrà tra 20 anni. Ce ne sono anche alcuni come quello con i capelli buffi [l'americano Trump o il britannico Boris Johnson?] che non guardano oltre il domani. Gli unici che sanno pensare a lungo termine sono la comunità accademica, la società civile che include le Chiese, i sindacati. Inoltre, la fiducia dei governi nelle istituzioni internazionali è al ribasso. Quando i capi di Stato si incontrano alla Conferenza di Parigi o in altri posti parlano di generalità, non risolvono nulla. Qualcuno dovrebbe dire loro: "Siete dei bastardi, non vi aiutiamo né vi sosteniamo".

Ma nessuno lo fa.

Esattamente. Gran parte degli aiuti forniti dai governi vanno alla sicurezza. Aiutano la guardia costiera in Libia a impedire la fuga delle persone, vietano alle navi delle ONG di agire, i migranti vengono restituiti alle milizie, che li reclutano per combattere contro un'altra milizia. Senza dire che c'è un mercato degli schiavi in ​​Libia. Questo è il risultato delle politiche dei nostri governi.

Cosa può aiutare l'Africa? Lei fa notare che per ogni euro destinato ad investimenti in Africa, 5,5 euro scompaiono in dividendi, interessi, corruzione, evasione fiscale.

I due migliori esempi per ridurre la disuguaglianza e aiutare l'autosufficienza sono il Ruanda e l'Etiopia. Ma non sono vere democrazie. Il Ruanda è una dittatura assoluta, e l'Etiopia lo era fino a tempi recenti. Entrambi i paesi sono stati in grado di imporre una solida riforma agricola con il sostegno finanziario della Fondazione Gates che, ad esempio, ha appoggiato l'Agenzia per la trasformazione agricola dell'Etiopia aiutando 60.000 agricoltori ogni anno. Nel caso del Ruanda, Kagamé, che non ha nemmeno l’idea di cosa siano i diritti umani, ha un eccellente ministro dell'agricoltura che è diventato il direttore di Aggra, l'Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa, con base in Nairobi. Parte da un fatto: se le tue radici sono nell'agricoltura, che tu sia uomo o donna, la terra ti appartiene quando compi i 18 anni.

Il prezzo è rimanere ciechi di fronte a quei dittatori?

Il fatto è che lo siamo già. Se non affrontiamo questioni come la proprietà privata o la coltivazione della terra, non arriveremo alla rivoluzione agricola. L'economista John Spiglitz afferma: "Le élite in Africa non hanno voluto risolvere la questione della proprietà della terra perché potrebbe alienare loro i propri sostenitori, i capi tribù". La questione della corruzione è molto più complicata. C'è corruzione per avidità e corruzione per necessità. Il primo è esemplificato dal ministro che dice, ti compro 10.000 pistole MK40 però per ognuna devi mettere 20 dollari sul mio conto in Svizzera. I governi, le aziende e le organizzazioni sono colpevoli di mantenerlo nel suo posto. E poi c'è la corruzione per necessità, del funzionario che viene e mi chiede cinque dollari per dimenticare di mettere una firma su un documento e permettermi di entrare nel Paese. Gli do i cinque dollari e poi scopro che non è pagato da tre mesi.

Una corruzione a tutti i livelli, divenuta sistema ...

La corruzione a un livello ridotto è necessaria per sopravvivere. I poveri sono alla mercé dei meno poveri che, a loro volta, sono alla mercé di chi ha un po' di più. È una catena.

Quali cambiamenti suggerisci nel modo in cui prendi le decisioni?

I governi sono gli stessi in tutto il mondo. A loro non piace l'onestà. I governi non si confrontano, si limitano a fare conferenze. Nel 2003, 51 paesi dell’Africa hanno firmato la Dichiarazione di Maputo in cui si impegnavano a destinare entro un decennio il 10% dei loro bilanci allo sviluppo agricolo. 16 anni dopo, solo sette lo stanno facendo. Non prendono sul serio l'agricoltura perché non ricevono nessun applauso per dire che il loro paese è povero. L'unico che lo ammette è il Malawi perché le donazioni in aiuti sono il 60% della sua valuta estera.

Nel 1992 lei ha pubblicato, Etiopia: una innecessaria tragedia, un documento che va oltre i titoli della cronaca sulla carestia. Si è imparato qualcosa?

Ci sono buone intenzioni, ma sempre più governi stanno optando per ciò che Kissinger aveva predetto 25 anni fa: il cibo diventerà un’arma legittima di guerra. E maggiore è il controllo sugli aiuti alimentari, maggiore sarà il potere di chi detiene il potere. È quello che sta succedendo adesso.

E più azioni che partano dall'Occidente, per sostenere una trasformazione dall'interno?

Non credo che possa provenire dall'interno del sistema, motivo per cui sono così critico nei confronti delle organizzazioni. Sono i Comboniani e i gruppi come loro che devono gridare: "Questo non è giusto". Perché questi gruppi non sono coinvolti in operazioni di sviluppo, nella creazione di cooperative per la produzione di legumi, pomodori, in agricoltura libera dai fertilizzanti chimici? Questo sarebbe sviluppo! Ma per il momento non si stanno coinvolgendo le organizzazioni giuste.

Guarda l'originale in Mundo Negro: “La comida será un arma legítima de guerra”

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I commenti dai nostri lettori (1)

Margaret Henderson 29.04.2021 Great provocative questions! I was particularly interested to read that Ethiopia could be considered an example of good practice, despite having a dictator. I’ll tell you about a project I ran with an Ethiopian in the early 1990’s and was genuinely pleased with. I was approached by a young woman on a home visit from her posting as a volunteer in Ethiopian, sent there by the same organization which sent me as a volunteer to Burundi. She begged me to try to send one or two computers to the college where she was teaching - I promised to try. She returned to Ethiopia and I got nowhere in my efforts as I felt totally defeated by problems such as how to get a parcel through Djibouti, import tax and also how to buy the computers and was about to write to say that I was sorry, it was too difficult a proposition. Then I managed to find a London-based Ethiopian engineer who was connected with the Tigray Development Association, in the area where the British volunteer worked. We planned hard together though I must say the ideas really came from him, I simply made all the contacts with the banks, the insurance agencies etc and persuaded them to give us large numbers of computers when they were upgrading their hardware. I also persuaded the school I taught in in London to let me use an empty building for storage. I made the arrangements for pickup and the engineer got a local Ethiopian to collect the computers. The Ethiopian got together a number of unemployed Ethiopians in London and trained them in computer testing, repairing etc. He also found some wealthy Ethiopians in London prepared to pay for the shipment of large crates of computers and he got official permission for the crates to go through Djibouti without being opened. We shipped 800 to a teacher training college in the middle of Tigray. The engineer and his team of repair men moved back to Ethiopia to be based in that college. There teachers from all over a wide area came into the college to do courses on how to use computers in their teaching, then were given a certain number of computers to take back to their school.