Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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“Restare in patria è responsabilità di tutti”

InTerris 16.10.2023 Giacomo Galeazzi Tradotto da: Jpic-jp.org

Appello di monsignor Bayemi Matjei, Vescovo in Camerun: "Creiamo ricchezza in Africa perché tutti preferiscano rimanere nella propria patria"

Va garantito il diritto a non emigrare. Liberi di scegliere se migrare o restare.

Secondo papa Francesco assicurare libertà di scelta se emigrare o restare è responsabilità di tutti. Un obiettivo lontano, ma possibile “se sapremo lavorare per ottenerlo. Senza più egoismi. Mettendo al centro di ogni processo di sviluppo la promozione di ogni uomo e la cura della casa comune”.

Afferma il Pontefice: “Il percorso sinodale che, come Chiesa, abbiamo intrapreso, ci porta a vedere nelle persone più vulnerabili (e tra questi, i migranti ed i rifugiati) dei compagni di viaggio speciali. Da amare e curare come fratelli e sorelle. Solo camminando insieme potremo andare lontano e raggiungere la meta comune del nostro viaggio”.

Oggi, per molti anche se non per tutti, emigrare non è una libera scelta, ma l’unica scelta. Ad ogni essere umano, invece, va innanzitutto assicurato “un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza”: quello “a non emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra”, questo sapendo bene che “le risorse mondiali non sono illimitate e che lo sviluppo dei Paesi economicamente più poveri dipende dalla capacità di condivisione che si riesce a generare tra tutti i Paesi”.

Diritto a non emigrare

A rilanciare l’appello del Papa a garantire il diritto a non emigrare è monsignor Sosthène Léopold Bayemi Matjei, vescovo di Obala, in Camerun. Obala è una diocesi rurale con circa 800.000 abitanti, più della metà dei quali cattolici.

Attraverso la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha affrontato il problema dell’emigrazione dal suo Paese.

“Non solo i cristiani ma tutti gli abitanti del Camerun preferiscono rimanere nella loro patria. Esaminando i dati dell’emigrazione verso l’Europa, da circa 20 anni si registra una crescita dei camerunesi che emigrano verso Francia ed Italia, a causa del peggioramento della situazione socio-politica interna. Ad esempio, un medico in Camerun percepisce circa 350 euro al mese. Con uno stipendio così basso – racconta il prelato – non riesce a vivere. L’imprenditoria non si sviluppa, perché non c’è accesso dignitoso alle risorse economiche. Le nostre banche, che sono tutte francesi o inglesi, applicano tassi di interesse per i prestiti che arrivano al 10-12%. La nostra moneta, il franco CFA, è controllata dalla Francia. Ciò accade in Camerun ed in altri 13 Paesi africani. Ed abbiamo l’obbligo di destinare metà delle nostre risorse alla Banca di Francia”.

Instabilità

Spiega il vescovo di Obala: “I ragazzi vorrebbero rimanere a casa, ma sono costretti ad emigrare. Da 6 anni viviamo una situazione d’instabilità a causa di Boko Haram e degli scontri tra anglofoni e francofoni che utilizzano le risorse economiche per sovvenzionare le loro guerre e non per creare e favorire lo sviluppo professionale, le infrastrutture e le strutture necessarie al nostro Paese. La situazione è complicata ed aggravata dalla corruzione. Assistiamo ad una corsa al potere e temiamo perfino un colpo di Stato”.

Un altro fattore determinante è rappresentato dal cambiamento climatico. Prosegue il vescovo: “Nella nostra regione solitamente arrivavano le piogge nel periodo di Ferragosto. Da quattro anni questo non accade più. E ci è capitato di restare senza acqua fino a fine settembre con danni gravi per i terreni coltivabili. Gli artigiani non hanno sbocchi lavorativi. Inoltre la formazione professionale non è completata per mancanza di risorse. Altro tema importante è la tecnologia. In occidente c’è una capacità tecnologica elevata che non viene trasferita ai Paesi africani quando noi abbiamo le risorse umane per rispondere alle necessità di lavoro industriale se vengono fatti i giusti investimenti”.

Conflitto

Di fronte a un’Europa perennemente alle prese con la gestione dell’emergenza immigrazione monsignor Bayemi Matjei sottolinea che è fondamentale la prevenzione.

“Il Camerun prima del conflitto tra anglofoni e francofoni e delle violenze di Boko Haram era un’isola di pace, anche se intorno a noi c’erano Paese con gravi problemi come Ciad, Nigeria, Repubblica del Congo, Repubblica Centrafricana”, sostiene il presule. “Eravamo consapevoli che sarebbero arrivati migranti da queste terre. Ma non siamo stati preparati ad accoglierli. Ci vuole un cambiamento completo e per farlo bisogna partire dalla gestione dell’emergenza. Con lo scopo di creare un futuro, dare una speranza. È giusto prevedere i flussi e regolamentarli con i mezzi di controllo che lo stato possiede, ma è meglio dare la possibilità a tutti di rimanere in patria”.

Lotta alla povertà

Monsignor Bayemi Matjei descrive poi i limiti delle attuali politiche per lo sviluppo.

“Sono vescovo da 13 anni e mi sono molto impegnato per lo sviluppo. Ho incontrato esponenti del Fondo Monetario Internazionale ed ho chiesto loro di confrontarsi non solo con i governi, ma anche con coloro che vivono in condizioni problematiche e dovrebbero ricevere gli aiuti. Molti contributi vengono usati male perché manca il confronto diretto; questo genera una paralisi. Gli interventi devono riguardare l’intera filiera produttiva. Ad esempio, la Danimarca anni fa ha iniziato un progetto per la creazione di pozzi d’acqua. Hanno costruito le infrastrutture nei villaggi. Hanno collegato gli acquedotti ai fiumi, ma non hanno fatto formazione locale. Hanno lasciato l’infrastruttura ma non ci hanno insegnato a gestire la manutenzione. E ci siamo ritrovati senza assistenza tecnica ed a dover coprire i costi del carburante per far funzionare i macchinari”.

Investimenti e solidarietà

Quanto alle concrete iniziative intraprese dalla diocesi, il prelato racconta d’aver sviluppato uno specifico piano pastorale. “Ho costruito una scuola agraria per formare i ragazzi dopo la maturità. Ma dopo la formazione, che dura 3 anni, si è fatto necessario l’inserimento nel mondo del lavoro. Stiamo quindi creando cooperative e formare ragazzi e donne. Alcune d’esse si sono associate, hanno unito le loro capacità economiche e fanno investimenti in autonomia in modo da incrementare la loro produzione”.

Monsignor Bayemi Matjei conclude con un appello rivolto ai cattolici europei ed in particolare ai benefattori di ACS. “Conosco i progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre e la loro grande importanza. ACS fa un bel lavoro, i sostenitori devono avere fiducia. I progetti pastorali sono importanti come lo sono quelli per l’autosviluppo volti a formare i ragazzi ed accompagnarli nel contesto lavorativo. Continuate a sostenerci. Ma creiamo ricchezza in Africa, aiutandoci a plasmare, anche tramite progetti pastorali, la giusta mentalità. Non è semplice ma è importante”.

Vedi, “Restare in patria è responsabilità di tutti

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I commenti dai nostri lettori (2)

Dario 28.11.2023 Articolo Vero. Purtroppo il capitalismo ha idee diverse.
Margaret Henderson 12.12.2023 This article was very meaningful to me not just because I’m totally in harmony with the idea that people should not be forced to leave their homeland in order to make a living but because of Cameroon. I’ve been involved for at least 10 years in supporting a man from Cameroon, going to court with him, writing letters, phoning Cameroon aid agencies etc and I’ve learned a lot about that country’s problems. I was particularly shocked at the hardship caused in a number of countries by the Bank of France.