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L'impatto della guerra in Ucraina sul processo sinodale

Stati Uniti 12.04.2022 Massimo Faggioli Tradotto da: Jpic-jp.org

“L'attacco di Putin a un Paese sovrano ci aiuta a capire cosa possiamo e non possiamo aspettarci in termini di partecipazione al processo sinodale dei cattolici in Ucraina, ma anche di quanti vivono in altre aree del mondo dilaniate dalla guerra. Non possono offrire una sintesi ben organizzata delle loro sessioni di dialogo. Il loro contributo sarà di altro tipo: meno quantificabile, più mistico. La loro sofferenza può insegnarci cosa significa essere Chiesa nel mondo di oggi”. Sinodalità è anche scoprire come si può 'camminare insieme' con le Chiese che sono oggi nella sofferenza. D’altronde, i grandi eventi ecclesiali sono sempre stati influenzati e in qualche modo condizionati dal contesto sociale, culturale e politico del tempo.

La prima vittima di una guerra è la verità, e la guerra in Ucraina ha creato una mentalità che avrà inevitabilmente un impatto sul “processo sinodale” in corso nella Chiesa cattolica. L'incontro, l'ascolto e il discernimento sono molto più difficili in tempo di guerra, e allo stesso tempo più urgenti. Già prima dell'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina, il 24 febbraio, il processo sinodale presentava alla Chiesa problemi insoliti.

Ad esempio, il Cammino sinodale che si sta svolgendo in Germania è stato attaccato negli ultimi mesi da vari vescovi di altre parti del mondo – individualmente come per l'arcivescovo Samuel Aquila di Denver (USA) e da intere conferenze episcopali di paesi come la Scandinavia e la Polonia-. Proprio in queste settimane, circa 74 vescovi di tutto il mondo - di cui 49 degli Stati Uniti - hanno firmato una "lettera fraterna aperta", per dire ai tedeschi che il loro cammino sinodale sta creando confusione e potrebbe portare allo scisma.

La guerra in Ucraina ha cambiato radicalmente l'umore della Chiesa anche dal punto di vista del contesto politico internazionale. Gli incontri conciliari e sinodali nella Chiesa cattolica hanno sempre interagito con i conflitti armati. Le loro agende e programmi non sono mai stati immuni dagli effetti delle turbolenze d'ordine internazionale.

Incontri ecclesiali condizionati dagli eventi del tempo

Basta guardare agli ultimi due secoli. Il Concilio Vaticano I (1869-1870) fu sospeso, di fatto interrotto, dalla guerra che portò alla presa di Roma da parte del Regno d'Italia nel settembre 1870. Le preoccupazioni per la sicurezza, sia interna che internazionale, dissuasero Pio XI e Pio XII dal riconvocare un consiglio generale negli anni '20 e subito dopo la seconda guerra mondiale. Il Vaticano II (1962-65) sarebbe stato interrotto se la crisi dei missili cubani dell'ottobre 1962 fosse degenerata in uno scontro nucleare tra le due superpotenze, gli Stati Uniti e l'URSS.

I consigli generali o ecumenici non sono come i sinodi a livello diocesano e nazionale, ma anche qui ci sono dei precedenti. Ad esempio, il movimento sinodale alla fine del 18° secolo fu interrotto dalla Rivoluzione francese. Dopo la caduta di Napoleone fu ripristinato l'ordine politico preesistente e un consolidamento del potere pontificio.

Uno dei tanti paradossi degli attacchi anticlericali tra la fine del 18° e l'inizio del 19° secolo è che ha reso la Chiesa cattolica più papale e meno sinodale, come mostrano le definizioni del Vaticano I.

Il processo sinodale 2021-2023 ha aperto la Chiesa ad una delle esperienze d’incontro storicamente più importanti con i suoi membri a livello locale, nazionale e globale. Ma arriva in un momento in cui i timori di una guerra nucleare sono al massimo dal tempo della crisi dei missili cubani di sessant'anni fa.

Scontri e scontri

La novità è che il futuro di quella che sembrava essere un'isola di pace in un mondo travagliato - cioè l'Europa -, sembra incerto come lo è stato all'avvicinarsi della seconda guerra mondiale. In un interessante articolo pubblicato recentemente su Bloomberg, John Micklethwait e Adrian Wooldridge (due giornalisti con un occhio attento ai rapporti tra religione e politica) hanno scritto quanto segue.

"Nella grande battaglia intellettuale degli anni '90 tra Francis Fukuyama, che ha scritto La fine della storia e L'ultimo uomo (1992), e il suo professore di Harvard, Samuel Huntington, che ha scritto The Clash of Civilizations (1996) – Lo scontro delle civiltà -, gli amministratori delegati si erano in genere schierati con Fukuyama”.

Il punto di vista nelle loro sale di riunioni era semplice: la democrazia non vincerà sempre (la Cina lo ha insegnato rapidamente ai capitalisti), ma di solito un'economia ragionevole ne esce vittoriosa. Tuttavia, alla fine del discorso, Micklethwait e Wooldridge giungono a questa conclusione: mentre "i capitalisti sono adesso tutti Huntingtoniani", il papato moderno post-conciliare incarna come per un’impostazione predefinita una visione che non è per nulla lo "scontro di civiltà" di Huntington.

Tuttavia, una svolta verso una visione conflittuale delle relazioni tra popoli e culture non lascia miracolosamente inalterati i cattolici.

Le "guerre culturali" nord-americane

Nel cuore di molti cattolici, che ora dovrebbero "camminare insieme" con i loro fratelli e sorelle del posto nella fede e come un’unica famiglia umana, c'è la paura. Quello che sentono nelle loro chiese è a volte in contrasto, a volte all'unisono con i tamburi della guerra. La sinodalità doveva essere un antidoto alla creazione di posizioni radicali nella Chiesa, all'incapacità di dialogare e di lavorare insieme. Ma attualmente c'è un'escalation globalizzata di una globalizzazione delle "guerre culturali" nord-americane.

Ne abbiamo visto i sintomi nelle ultime settimane. Oltre all'opposizione senza precedenti che papa Francesco sta affrontando da tempo da parte dei neotradizionalisti, la guerra in Ucraina ha creato altre voci di opposizione nei suoi confronti a causa della sua decisione di non considerare pubblicamente né Putin né la Russia come nemici religiosi più di quanto non lo siano già percepiti. Le critiche non provengono dalla solita cabala dei tradizionalisti statunitensi e dai loro alleati internazionali, ma in modo più sottile da altri circoli, anche europei. Durante una guerra, l'ordine liberal-democratico viene temporaneamente sospeso e vengono approvate misure straordinarie che estendono in modo significativo i poteri dello Stato e limitano i diritti della popolazione.

Il clima sociale, culturale e politico del tempo

La Chiesa cattolica non è una democrazia liberale e la sinodalità non mira a trasformare il sistema ecclesiale in una democrazia. Ma ci sono somiglianze tra gli effetti della guerra sulla democrazia e quelli sulla sinodalità nella Chiesa, tra la crisi dell'ethos democratico e dell'ethos sinodale. L'attenzione è più su una leadership forte che sull'autonomia e responsabilità delle persone. La propaganda sostituisce la verità. L'altro è soggetto a un processo di costruzione dell'immagine che ne fa un nemico.

La sinodalità dovrebbe rendere la Chiesa cattolica più dialogica all'interno e con le altre Chiese. Ma sia a livello locale che internazionale, le relazioni ecumeniche con le Chiese ortodosse (e all'interno della stessa Ortodossia) sono ora al livello più basso da molto tempo. Da un punto di vista storico, gli studiosi di concili e sinodi sanno che i grandi eventi ecclesiali solo possono essere compresi studiando anche il clima sociale, culturale e politico del tempo. Stiamo imparando, inoltre, a considerare la voce di coloro che non potevano essere presenti di persona o come personaggi chiave ad un dato evento (ad esempio, le donne al Vaticano II). Cosa che dobbiamo fare adesso e nei prossimi anni per garantire un "processo sinodale".

In cosa possono contribuire al processo sinodale i cattolici in situazioni di guerra?

Di certo, ci saranno molte voci mancanti nel processo sinodale del 2021-2023 anche a causa della guerra, ma che dovranno essere ascoltate. Se da una parte il processo sinodale è la continuazione dell'ecclesiologia del Vaticano II, dall’altro segna anche la fine dell'era del Vaticano II, di quella visione del mondo post-seconda guerra mondiale che attendeva la fine della Guerra Fredda.

Dal punto di vista teologico, è vero che la sinodalità non è un concetto nuovo, ma trova le sue radici più profonde nell'antica tradizione della Chiesa. Dobbiamo, però, ricordare che la sinodalità oggi si dispiega in una Chiesa cattolica più globale, meno identificabile con una particolare area del mondo dominante le altre ecclesialmente ed ecclesiasticamente.

L'attacco di Putin contro un Paese sovrano ci aiuta a capire cosa possiamo e non possiamo aspettarci in termini di partecipazione al processo sinodale dai cattolici in Ucraina, ma anche di quanti vivono in altre aree del mondo dilaniate dalla guerra. Non possono offrire una sintesi ben organizzata delle loro sessioni di dialogo. Il loro contributo sarà di altro tipo: meno quantificabile, più mistico. La loro sofferenza può insegnarci cosa significa essere Chiesa nel mondo di oggi. Sinodalità è scoprire come si può 'camminare insieme' con la Chiesa in Ucraina in questo momento terribile.

Per saperne di più: The war in Ukraine's impact on the synodal process (la-croix.com)

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I commenti dai nostri lettori (1)

Bernard Farine 01.05.2022 Texte intéressant. Si je n'ai jamais cru à « la fin de l'histoire », il faut aussi interroger le choc des civilisations : se situe-t-il encore où le mettait Huntington. Le choc n'est-il pas aussi au sein de chaque civilisation ? Je ne sais pas ce que produira le synode. Il ne peut rendre en compte le point de vue de tous ceux qui sont partis « sur la pointe des pieds » depuis des années et qui auraient des choses à dire sur les raisons de leurs déceptions. La grande diversité dans le monde explique aussi les incompréhensions, par exemple vis-à-vis des allemands.