Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Questioni etiche o dilemmi sociali?

Newark 25.06.2018 Jpic-jp.org Tradotto da: Jpic-jp.org

Aborto, controllo delle nascite, uso della contraccezione, "inverno demografico", libertà individuale e bene comune: sono questioni etiche che provocano problemi morali o problemi sociali che lo stato deve risolvere?

Alcuni anni fa negli Stati Uniti degli attivisti pro-vita davanti alle cliniche abortiste sparavano, disposti a uccidere, i medici dell'aborto. Un'assurdità etica: voler difendere la vita volendo uccidere. Il senso etico era, ed è, messo a tacere da un angosciante problema sociale: una società senza figli non ha futuro. La Spagna registra più morti che nascite, (Vedi Italia: un Paese con decrescita demografica e crescita di anzianità) sempre meno bambini, e verrà il giorno in cui non ne nascerà più nessuno. Società le nostre che hanno sempre meno futuro. L'inverno demografico avrà un costo elevato nel sistema pensionistico, dipendendo da una popolazione attiva sempre più piccola e una società sterile è condannata a morire. Gli attivisti nordamericani si difendevano: "È una guerra di autodifesa, di sopravvivenza. Chi uccide i nostri bambini non nati, uccide il nostro futuro, uccide la nostra garanzia di vita come società”.
Possono i diritti della comunità predominare sulla libertà decisionale dell'individuo, sul diritto all'autodeterminazione della coppia, della donna?

Un principio contestabile, tuttavia assunto come valido di fronte alla paura dell'esplosione democratica. Paesi come la Cina e l'India hanno risposto con il controllo delle nascite e gli Stati Uniti - e le Nazioni Unite - con la promozione dell'aborto, della sterilizzazione volontaria o obbligatoria attraverso organizzazioni "umanitarie".
In Cina la legge dell'unico figlio è entrata in vigore nel 1979: circa 40 anni dopo, nel 2017, il numero delle nascite è diminuito del 3,5%, mentre gli anziani cinesi nel 2020 saranno 400 milioni.
L'azione di alcuni paesi si accompagna al fenomeno naturale della diminuzione della fertilità in altri. In Asia c’è la preoccupazione per le conseguenze economiche e sociali di questo fenomeno. L'Associazione asiatica per lo sviluppo della popolazione (APDA), studiando la popolazione del Giappone, afferma: "L'aumento della popolazione è stata dappertutto la preoccupazione principale, mentre i rischi per il basso tasso di natalità e la conseguente diminuzione della popolazione fino ad ora non erano previsti". Senza studi in proposito, i governi non vi hanno prestato attenzione (‘Questa è la morte della famiglia’: la crisi della fertilità in Giappone sta creando problemi economici e sociali mai visti prima).

  Secondo le Nazioni Unite, il tasso di natalità in Giappone era di 2,75 figli per donna nel decennio degli anni '50, superiore al 2,1 necessario per mantenere la stabilità della popolazione. Allo stato attuale, è 1,44 e la popolazione negli ultimi cinque anni è diminuita di un milione.
A questo si aggiunge l'instabilità sociale: l'aborto in massa di bimbe, per la preferenza del figlio maschio, ha fatto sì che in Cina con una popolazione di 1,4 miliardi, ci siano oggi 34 milioni di uomini in più delle donne, l’equivalente della popolazione della Polonia, maschi che non troveranno mai moglie e raramente avranno rapporti sessuali. Il dramma psicologico di madri che hanno dovuto abortire per imposizione statale, fa sì che in Cina ogni giorno si suicidano circa 590 donne. L’ingegneria sociale cinese, la più grande nella storia umana - controllo delle nascite, sterilizzazione volontaria o obbligata per decisione del governo e aborti selettivi - chiude per fallimento: La nuova Lunga marcia. Il «figlio unico» è ormai storia. In Cina si riempiono le culle.

Il fenomeno suscita preoccupazioni così profonde che il Washington Post, un quotidiano liberale, vi dedica un dossier dai toni allarmati con grafiche, immagini, statistiche, riquadri di analisi. "Nulla di tutto ciò è mai accaduto nella storia umana. Una combinazione di preferenze culturali, decreti governativi e tecnologia medica moderna nei due più grandi paesi del mondo ha creato uno squilibrio di genere su scala continentale. Gli uomini superano le donne di 70 milioni in Cina e in India. Le conseguenze di avere troppi uomini in periodi di maturità sessuale, sono di vasta portata": una epidemia di solitudine, la distorsione dei mercati del lavoro, l'aumento dei tassi di risparmio, la riduzione dei consumi, l'inflazione artificiale di certi valori di proprietà, l'aumento della violenza criminale, del traffico di persone e della prostituzione.
Queste conseguenze non si limitano alla Cina e all'India, si estendono ai loro vicini asiatici e raggiungono anche l'Europa e l’America distorcendone le economie.
Il Washington Post illustra, in quattro sezioni con storie personali, le conseguenze di questo squilibrio. Vita di villaggio e salute mentale: tra gli uomini si diffondono solitudine e depressione e i villaggi si svuotano. Prezzi delle case e tassi di risparmio: in Cina i single per attirare un’eventuale moglie si affannano in costruire case, aumentandone così i prezzi, però riducono tutti gli altri consumi aumentando il surplus commerciale; in India, con poche spose disponibili, le famiglie si sentono meno obbligate a preparare doti costose. Aumento della tratta di esseri umani: donne straniere reclutate e attirate in Cina per farne delle spose, creando squilibri simili nei paesi limitrofi. Sicurezza pubblica: con l'aumento degli uomini aumenta la delinquenza sessuale in India e altri crimini in entrambi i paesi. In alcune città, le molestie contro le ragazze in età scolare hanno richiesto misure estreme a costo di limitare lo spazio e la libertà di vita delle stesse protette. In Cina e in India, fra gli uomini in sovrappiù, 50 milioni hanno meno di 20 anni e il divario nella fascia di età matrimoniale - tra i 15 ei 29 anni - continuerà ad aumentare man mano che crescono gli attuali bambini.  India mancano 63 milioni di donne e ci sono 21 milioni di ragazze che la famiglia non vuole più, secondo il governo (Vedi  India, 63 milioni di bambine mancano all’appello: il dramma dei femminicidi e degli aborti selettivi).

Il fenomeno ha un profondo impatto sulla cultura famigliare tradizionale: figli adulti vivono ancora con le madri, in alcuni casi, con le nonne; le donne invecchiano cucinando e lavando per i loro figli adulti con uno stress dannoso per la loro salute; lo squilibrio di genere causa "crisi di mascolinità" nei single che, non sentendosi e non essendo considerati uomini "completi", adottano atteggiamenti socialmente aggressivi per far valere la propria virilità.

Argentina e Irlanda allineano la legislazione a favore di un aborto libero, la legge 194 che ha introdotto l'aborto in Italia compie 40 anni. Però sempre più voci dichiarano: "Ho praticato aborti, oggi difendo la vita" (Antonio Oriente, ginecologo) e sempre più numerosi sono i medici obiettori di coscienza, al punto che per garantire "il libero aborto" si deve “obbligare” gli obiettori a praticarlo.

La contrapposizione tra i movimenti pro-life e pro-aborto rischiano di aumentare con la celebrazione del 50° anniversario dell'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (25 luglio 1968). Per commemorare questo anniversario, 500 membri del clero inglese ricordano una profezia dell'enciclica: se la contraccezione artificiale si estende ed è riconosciuta dalla società, sparirà la corretta comprensione del matrimonio, della famiglia, della dignità dei bambini e delle donne, e alcuni governi useranno metodi coercitivi per controllare ciò che c’è di più intimo e privato. La Humanae Vitae venne ampiamente criticata all’interno e fuori della Chiesa, dalla scienza, dalla politica, dai movimenti femministi e dagli auto-definiti progressisti. Si rifiutava il giudizio che la contraccezione artificiale è "intrinsecamente sbagliata" e contro la moralità naturale. Da allora, il controllo artificiale delle nascite, gli aborti e la sterilizzazione volontaria o forzata, non solo come annunciato dall'enciclica, sono stati adottati dai governi totalitari, ma si sono sviluppati così tanto che in alcune società è arrivato l'inverno demografico. Si alzano voci provocatorie per dire che Paolo VI aveva ragione.

Ci si deve porre due domande.

Può la libertà individuale opporsi al bene comune della comunità, della società? La domanda in certi paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina abbraccia l'aborto, il matrimonio omosessuale, la maternità surrogata e il controllo delle nascite. La controversia diventa ancora più aspra quando le organizzazioni delle Nazioni Unite e dei paesi ricchi vogliono imporre questi "progressi sociali" a paesi che li percepiscono come una forma di colonizzazione culturale, provocando reazioni aggressive.

D'altra parte, una presunta etica naturale può opporsi alla libera decisione di una società? Il documento del clero inglese offre un’intuizione: "Crediamo che un’adeguata 'ecologia umana', una riscoperta del cammino della natura e il rispetto della dignità umana sono essenziali per il futuro dei nostri popoli, siano cattolici o non cattolici". Forse più che parlare di una morale naturale da rispettare come imperativo etico, si deve studiare meglio i “percorsi della natura” da rispettare, sotto pena che la natura da alleata diventi un nemico e, prima o poi, si finisca per distruggere la società. L'aborto, il controllo delle nascite, l'eutanasia, il ventre in affitto, la sterilizzazione volontaria o forzata, son solo questioni etiche o, in primis, dilemmi sociali da affrontare con saggezza e non con ideologie, magari religiose?

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