Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità<br /> del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato

A 40 anni, cosa resta di una rivoluzione

Newark 24.06.2019 Gian Paolo Pezzi, mccj Tradotto da: Jpic-jp-org

In Nicaragua, la rivoluzione sandinista inizia verso la fine degli anni '50. Nel 1978 si intensifica e in marzo 1979 le sue 3 frazioni firmano un accordo, decidono l'Offensiva Final a cui il popolo aderisce con uno sciopero generale. Il 19 luglio 1979 i guerriglieri entrano in Managua accolti trionfalmente. Termina la dittatura di Anastasio Somoza. Cosa resta oggi di quella rivoluzione?

Il 19 luglio 2019 segna 40 anni dalla sconfitta della sanguinosa dinastia Somoza. Ma non c'è molto da festeggiare in Nicaragua. Il paese vive sotto un'altra dittatura, quella del comandante Daniel Ortega e sua moglie. 

Quando i sandinisti presero il potere nel 1979, la più grande aspettativa era la riforma agraria. Il 4% della terra era coltivato dal 70% di poveri contadini, mentre meno di 2.000 persone possedevano più del 50% delle terre e meno del 5% ne controllava l'85%. Arrivati al potere, i sandinisti si dedicarono ad alleviare la povertà del paese e crearono l'Istituto nicaraguense per la riforma agraria. Seguirono gli anni '80 pieni di speranza e dinamismo, nonostante la guerra della Contra finanziata dagli Stati Uniti.

Si assegnarono terreni ai contadini senza terra, furono create fattorie cooperative e imprese agricole gestite dallo stato. Solo la terra che non era in produzione, abbandonata o inutilizzata era distribuita e poche furono le espropriazioni. Non si badava all'estensione delle fattorie purché la terra fosse produttiva. Ben 13,7 milioni di acri di terra agricola - 1,7 milioni di ettari coltivati ​​e 12 milioni di ettari di pascoli - furono riorganizzati per aumentarne la produttività. Nel 1986 il 10% dei terreni era di proprietà di agricoltori, il 21% era costituito da cooperative agricole gestite da precedenti senza terra, le imprese statali ne detenevano circa il 20%, i piccoli e medi produttori il 35% , i contadini il 7%. Nel 1990, oltre il 40% del terreno produttivo era stato ridistribuito dalla riforma agraria.

Eppure fu allora che Daniel Ortega perse le elezioni contro Violeta Chamorro. Durante gli anni '90 erano nati conflitti tra le fila del Frente Sandinista de Liberation Nacional (FSLN). Alcuni sandinisti avevano lasciato il partito, unendosi o creando altri partiti politici, sostenendo che l'FSLN non era democratico. La guerra della Contra era durata più di 10 anni e la gente era stanca. Quando Violeta Chamorro iniziò la controriforma agraria no incontrò opposizione. Nel 1997, le elezioni portarono alla presidenza Arnoldo Alemán Aléman (Condannato per corruzione nel 2003). Nel 2002, quando terminava il suo mandato, meno del 10% della terra produttiva era ancora nelle mani dei contadini che l'avevano ottenuta con la riforma agraria.

Seguì la presidenza di Enrique Bolanos, un uomo d'affari, ex proprietario terriero, produttore di cotone e presidente del Consiglio supremo per le imprese private (COSEP). La sua gestione dello stato aprì il cammino al ritorno sulla scena politica del leader sandinista Daniel Ortega che vinse le elezioni nel novembre 2007. I nicaraguensi non avevano dimenticato i sandinisti e speravano che quanto no fu realizzato negli anni '80 a causa della guerra Contra diventasse realtà in un momento di pace. Una speranza che durò poco.

Gran parte della terra agricola si fu concentrando nuovamente nelle mani di grandi proprietari e di compagnie straniere. Dopo i primi 7 anni di governo sandinista, il 40% dei contadini nicaraguensi, circa 170.000, erano ancora senza terra e la sicurezza alimentare era di nuovo preoccupante. Il settore agricolo era in crescita ma solo grazie all'allevamento del bestiame, causa della deforestazione e attività dei grandi proprietari terrieri, di cui alcuni nicaraguensi, ma molti stranieri. Oltre 100.000 ettari di terra erano ormai di compagnie straniere e transnazionali. Dappertutto investimenti statunitensi, canadesi, svizzeri, costaricani, messicani, guatemaltechi e cinesi. Anche le località turistiche di proprietà privata e i progetti condominiali erano in crescita. Tutto portava a pensare che Ortega avesse rinunciato alla sovranità, alla sicurezza alimentare e al lavoro per eliminare la povertà.

Questo deterioramento della vita economica portò alla "rivolta sociale" del 18 aprile 2018 e da allora tutto è precipitato. La repressione del governo sandinista è stata violenta. Nei 5 mesi che seguirono, più di 30.000 nicaraguensi si sentirono obbligati a emigrare legalmente o illegalmente, i morti sarebbero 481, i feriti quasi 2.000 e più di 1.200 le detenzioni illegali, i sequestri, le sparizioni forzate e i presi politici. La Commissione Internazionale dei Diritti Umani (CIDH) parla di 322 morti e il governo di Ortega ne riconosce solo 198; ma la povertà e le migrazioni in aumento, l'isolamento internazionale del governo e l'ondata repressiva senza fine condannano un regime che aveva destato speranze nel Paese e in tutta America Latina.

Alvaro Leiva, direttore della ONG  "Associazione nicaraguense per i diritti umani (ANPDH),  esiliato in Costa Rica per ragioni di sicurezza esprime un giudizio "assolutamente negativo". "Non ci può essere sviluppo economico in un paese che fa uso sproporzionato della forza contro i civili e contro tutti i diritti umani. Non si può guidare lo sviluppo di un paese dall'alto di una montagna di cadaveri". Organizzazioni internazionali, potenziali donatori e paesi alleati non ne vogliono più sapere di collaborare; altri, come gli Stati Uniti, impongono sanzioni economiche.

Il Nicaragua, governato da Ortega ormai dal 2007, è il secondo paese più povero dell'emisfero dopo Haiti. Dei suoi 6,3 milioni di abitanti il 47%, percentuale che sale al 60% nelle zone rurali vivono in povertà. Gli effetti economici della crisi politica sta rendendo sempre più precaria la vita della popolazione più vulnerabile.

Da quando è iniziata la crisi, secondo gli economisti, sarebbero stati persi 215.000 posti di lavoro, di cui 70.000 nel settore del turismo, diventato negli ultimi anni la principale fonte di valuta estera, e l'offerta turistica è crollata del 55%, secondo la Banca centrale del Nicaragua. Oltre 900 milioni di dollari sarebbero sfuggiti al sistema finanziario; gli investimenti nel turismo, nella costruzione, nello sviluppo agricolo, nelle attività di borsa e in altri settori dell'economia sono congelati; i voli internazionali sospesi o ridotti. L'impatto economico della crisi è stato quantificato in oltre 1.200 milioni di dollari, in un paese con un PIL (prodotto interno lordo) che si aggira sui 14.000 milioni di dollari. La crescita economica scenderebbe dal 4,9% nel 2017 allo zero% secondo degli economisti indipendenti.

La crisi sta portando all'insicurezza alimentare: migliaia di ettari di terra produttiva sono stati occupati da invasori in domanda di alloggi popolari, oltre 4.855 ettari di terra privata sono stati invasi dai sostenitori del governo, in vendetta per il sostegno dato ai manifestanti dai legittimi proprietari. Oltre il 90% delle fattorie invase erano utilizzate per l'agricoltura, il bestiame e il miglioramento genetico del cibo.

I diversi tentativi di dialogo per cercare una via d'uscita dalla crisi, ai quali hanno partecipato anche la Chiesa cattolica e le organizzazioni sociali e studentesche sono falliti. Durante questi sforzi di dialogo il governo appoggiava violenti gruppi di strada per intimidire gli avversari politici e anche la chiesa (Cardinal, nuncio and bishop attacked by mob in Nicaragua - Cardinale, nunzio e vescovo attaccati dalla folla in Nicaragua. Le folle attaccano vescovi e nunzio in Carazo e rubano ai giornalisti). "Il panorama del paese, a breve, medio e lungo termine, è cupo, oscuro, peggio del Venezuela, perché là almeno c'è petrolio; qui dipendiamo dalla produzione agricola e dal turismo, due voci gravemente colpite dalla crisi che Ortega ha generato con la repressione " (Dichiarazione all'IPS).

La situazione è talmente deteriorata che ha portato uno degli antichi sostenitori e attivisti del sandinismo a dire: il 19 luglio è data amara per il Nicaragua. "I guadagni sociali raggiunti nei primi anni della rivoluzione sandinista hanno subito una regressione brutale e drammatica. È sbalorditivo vedere come uno dei capi di quella rivoluzione sia cambiato: da liberatore a repressore, da pioniere a carnefice di speranze e realtà. Affari più che confusi con i cinesi, corruzione palese, brutale repressione e regressione legislativa: il Nicaragua è oggi un paese che fa rimpiangere i risultati raggiunti qualche anno fa (19 de julho, data amarga para a Nicarágua).

Lascia un commento