Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Il villaggio delle "streghe"

Comboni Missionries Newsletter 27.05.2021 Antonella Sinopoli Tradotto da: Jpic-jp.org

Nel nord del Ghana, a Tamale, ci sono luoghi in cui vivono persone vittime dell'ignoranza, della superstizione e persino dalla violenza fisica. I campi delle streghe sono lontani dalle città e dalle comunità, luoghi a cui le donne accusate di stregoneria vengono bandite.

Chiunque può essere un loro accusatore: un fratello con un bambino malato che non lo porta in ospedale ma cerca un cura tradizionale contro la malattia, una "rivale" in amore, un vicino che non capisce perché è sfortunato nel lavoro. Da tutto questo nasce la caccia alle “streghe”.

Quasi mille donne sono ancora "detenute" in questi campi di streghe. Non ci sono barriere o recinzioni, ma queste donne sanno che non possono tornare alle loro comunità. Stigma, paura e pericolo fungono da muri e catene. Solo due di questi campi sono stati chiusi nel corso degli anni. Oggi, ne rimangono ancora sei.

Nel corso degli anni, associazioni e ONG hanno lavorato per la riabilitazione di queste donne, un compito molto difficile e laborioso.  Il programma di riabilitazione prevede lunghe discussioni con i capi villaggio che hanno bandito le donne e discussioni anche con le famiglie di queste donne. Si tratta di un vero e proprio lavoro di dialogo volto a verificare se esistono le condizioni necessarie per la sicurezza e l'accettazione per un loro ritorno a casa.

"Il problema è la persistente convinzione che esista la capacità di usare un potere soprannaturale malvagio per danneggiare gli altri. E questo potere è attribuito alle donne", afferma Simon Ngona del Witch Hunt Victims Empowerment Project. Ammette che è difficile sradicare credenze e tabù: "Non è importante che io creda o meno nel potere di queste donne. La maggior parte delle persone lo crede. Dire ‘non è vero’ significa andare contro la società". Una delle prime dichiarazioni del nuovo ministro per le questioni di genere, bambini e protezione sociale Sarah Adwoa Safo è stata: "Mi recherò nei villaggi delle streghe a ristrutturarli in modo che le donne che vi risiedono lì si sentano a casa".

Le associazioni si chiedono se si tratta di luoghi di protezione o di carceri. La domanda è: in che modo un restyling di questi luoghi può contribuire a risolvere una questione riguardante gli abusi e la violazione dei diritti umani? "Oltre alla violenza, queste donne hanno subito una grande umiliazione", afferma Lamnatu Adam, capo dell'ONG Songtaba. "È davvero una violazione dei diritti umani", continua "dal momento che sono rimaste senza alcunché e sono state abbandonate. In quei villaggi, non sono in grado di dimenticare ciò che hanno sofferto e spesso cadono in una profonda depressione”.

Nessuna delle donne che abbiamo incontrato nei quattro campi che abbiamo visitato (Gambaga, Gnani, Gushegu, Kukuo) sa quanti anni ha ma tutte ricordano, o dicono di ricordare, esattamente da quanto tempo sono lì. Kasua è una di queste. "Sono venuta qui al Kukuo Camp 27 anni fa.  Sono invecchiata qui. Hanno detto che ho ucciso il figlio di mio fratello. Non era vero, ma come potevo difendermi? Mio marito era già morto”.

Le donne accusate di essere streghe vengono rifiutate. Sono sempre in attesa che un figlio o una figlia o un benefattore le visiti – portando del cibo o una saponetta – soggetti alle decisioni del vicino capo villaggio dove si trova il campo. Per quanto riguarda i bambini, è una tragedia all'interno della tragedia. Bambini e bambine vengono lasciati con le streghe che, a causa della loro età, spesso non sono in grado di curarsi nemmeno di se stesse. I bambini crescono isolati dalla società e spesso non vanno a scuola. Sono le vittime collaterali dello stigma che affligge le loro mamme o le loro nonne. Uno di questi è Waramatu, 17 anni, che è venuto qui con sua madre molti anni fa e da allora è stato a scuola per soli tre giorni. Poi c'è l'undicenne Fusheina che è stata al campo di Kukuo con sua nonna per sette anni.

Ci sono molti altri casi simili. "Sono qui da molto tempo e mi sono abituata a questo posto", racconta Abena, che è in Campo Gnani da 15 anni. "Vorrei tornare a casa, ma non voglio essere picchiata o uccisa. Alcune donne sono tornate a casa nei loro villaggi ma poi sono ritornate. Quando sarò molto vecchia e starò per morire, chiederò ai i miei figli di venire a prendermi, ma se mi lasciano qui, va bene. Dopo tutto, sono insieme ad altre donne e condividiamo lo stesso destino".

Alcune donne cercano di protestare e alcune hanno pagato la grande somma di denaro necessaria per il rituale che doveva stabilire la loro innocenza. Tuttavia, tutte devono sottomettersi al giudizio della folla. Dopo tutto, esse stesse credono nella magia e nel suo potere. "Ci sono persone che usano il tuo volto e che rubano la tua identità per commettere crimini e poi tu vieni ingiustamente accusata", è la spiegazione di Wanduayab che vive da molti anni nel campo di Gushegu. "C'era una donna nella mia comunità che si è ammalata e mi hanno accusato. Cosa potevo fare?"

La vita è dura nei campi dove tutti devono badare a se stessi giorno dopo giorno. Non tutte le donne hanno aderito a LEAP, un programma governativo per combattere la povertà. "Aro i campi di altre persone così mi danno qualcosa da mangiare. Quando c'è un mercato nel villaggio, vado la sera a raccogliere il mais e il miglio che è caduto a terra. Non sono sicura di voler tornare nella mia comunità. Mi hanno accusato una volta e potrebbe accadere di nuovo", dice Salamatu che vive nel campo di Gushegu da sette anni.

"La mia rivale", ci racconta Tanjong, residente al Gambaga Camp "si sognò che volevo usare la stregoneria contro di lei. Il giorno dopo, mi hanno distrutto il tetto. Poi hanno cominciato a picchiarmi. Nessuno ha cercato di aiutarmi. Hanno detto che ero una strega e ora sono qui”.

Molte delle donne sono invecchiate in questi campi. Hanno visto come il mondo va avanti e cambia solo attraverso i racconti di altre "streghe" che sono venute nei campi dopo di loro.

Vedi The neighbourhood of the ‘witches’

Foto. Nel nord del Ghana, a Tamale. Sono per lo più donne, di solito anziane e vedove. Piuttosto che i diritti o la dignità, ciò che conta per la gente sono le loro antiche credenze.

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