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«La prima condizione per la pace in Ucraina è mettere fine all’aggressione»

Comboni 2000 13.03.2024 Comboni 2000 Tradotto da: Jpic-jp.org

È «ovvio» che creare le condizioni di un negoziato spetti a entrambe le parti in conflitto, Russia e Ucraina, che la «prima condizione» sia di «mettere fine all’aggressione» e a cessare il fuoco debbano essere «innanzitutto gli aggressori», cioè Mosca.

Il cardinale Pietro Parolin, 69 anni, Segretario di Stato vaticano, è il collaboratore più stretto del Papa e guida la diplomazia della Santa Sede. Chiaro che ne abbia parlato con Francesco, dopo le polemiche planetarie seguite all’intervista nella quale il Pontefice, alla radiotelevisione svizzera, in risposta a una domanda sull’Ucraina e il «coraggio della bandiera bianca», aveva detto che bisognava avere quel coraggio nel senso di «negoziare».

D-. Eminenza, pare evidente che il Papa chieda un negoziato e non una resa. Ma perché rivolgersi solo a una delle due parti, l’Ucraina e non la Russia? Ed evocare la «sconfitta» dell’aggredito, come motivazione per il negoziato, non rischia di essere controproducente?

R-. «Come ricordato dal direttore della sala stampa vaticana, citando le parole del Santo Padre del 25 febbraio scorso, l’appello del Pontefice è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione. Non bisogna mai dimenticare il contesto e, in questo caso, la domanda che è stata rivolta al Papa, il quale, in risposta, ha parlato del negoziato e, in particolare, del coraggio del negoziato, che non è mai una resa. La Santa Sede persegue questa linea e continua a chiedere il “cessate il fuoco” — e a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori — e quindi l’apertura di trattative. Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite umane che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo».

D-. Ci sono ancora possibilità di arrivare ad una soluzione diplomatica?

R-. «Trattandosi di decisioni che dipendono dalla volontà umana, rimane sempre la possibilità di arrivare a una soluzione diplomatica. La guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollabile ma della sola libertà umana, e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una soluzione diplomatica».

D-. La preoccupazione della Santa Sede è una escalation? Lei stesso ne parlava dicendo che «fa paura» l’ipotesi di un coinvolgimento dei Paesi occidentali.

R-. «La Santa Sede è preoccupata per il rischio di un allargamento della guerra. L’innalzamento del livello del conflitto, l’esplodere di nuovi scontri armati, la corsa al riarmo sono segnali drammatici e inquietanti in questo senso. L’allargamento della guerra significa nuove sofferenze, nuovi lutti, nuove vittime, nuove distruzioni, che si aggiungono a quelli che il popolo ucraino; soprattutto bambini, donne, anziani e civili, vivono nella propria carne e pagano il prezzo troppo caro di questa guerra ingiusta».

Vedi, Parolin: «La prima condizione per la pace in Ucraina è mettere fine all’aggressione»

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