Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Nicaragua. Il tradimento tra silenzio ed esilio

Butembo 14.02.2023 Jpic-jp.org Tradotto da: Jpic-jp.org

Dopo l’Angelus di domenica 12 febbraio scorso papa Francesco ha detto: “Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il Vescovo di Matagalpa, Mons. Rolando Alvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara Nazione”.

Il Papa ha quindi proseguito chiedendo di chiedere a Dio “di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo”.

Cosa sta succedendo in questo paese latinoamericano?

Monsignor Rolando Alvarez, Vescovo di Matagalpa e Amministratore apostolico di Estelio, nel nord del Nicaragua, la sera del 10 febbraio scorso è stato condannato a 26 anni e 4 mesi di carcere e privato dei diritti civili in perpetuo, per essersi rifiutato di lasciare il Paese insieme ai 222 prigionieri politici espulsi. Il Vescovo è accusato di minare l'integrità nazionale dello Stato e della società nicaraguense, di diffondere notizie false e del disprezzo alle autorità. Monsignor Alvarez, di 56 anni, era agli arresti domiciliari dall’agosto scorso.
Da lungo tempo ormai il regime di Daniel Ortega ha adottato misure repressive contro la Chiesa del Nicaragua, ritenuta non allineata al potere. Sono stati chiusi il canale televisivo della Conferenza episcopale e altri due canali cattolici, oltre a diverse radio cattoliche; è stato ritirato l’agreement diplomatico a Waldemar Stanislaw Sommertag, Nunzio Apostolico a Managua dal 2018, imponendogli di lasciare il Paese; sono state impedite processioni e pellegrinaggi; diversi sacerdoti sono stati arrestati con accuse pretestuose; è stata annullata la personalità giuridica di oltre 600 Ong, tra cui l’associazione “Missionarie della Carità” e le suore di Madre Teresa hanno dovuto lasciare il Paese.

Decine di migliaia di nicaraguensi sono fuggiti dal Paese negli ultimi anni, in particolare dopo le grandi proteste popolari del 2018, a causa delle repressione di un regime spesso paragonato alla dittatura somozista contro la quale la rivoluzione del 1979 era nata, all’insegna di Sandino (Fides).

All’origine, i grandi cambiamenti nel Fronte Sandinista diventato “proprietà privata”, nelle mani della coppia presidenziale, Daniel Ortega e Rosario Murillo, che detiene il controllo assoluto delle istituzioni dello Stato, in simbiosi con l’oligarchia economica nicaraguense. L’esilio è diventato la sola possibilità di resistenza.

Il Nicaragua, come molti dei paesi centroamericani, ha una storia ciclica di oppressione, vive in una spirale di regimi autoritari, resistenza sociale, lotta per la democrazia e situazioni dolorose.

Dopo la caduta del regime somozista nel 1979, nessuno avrebbe immaginato che, 40 anni più tardi, il governo dello stesso partito che aveva guidato la rivoluzione contro quella dittatura si sarebbe trasformato in una nuova dittatura. Daniel Ortega, tornato al potere con le elezioni del 2006, ha instaurato un regime di terrore, innescato dalla reazione repressiva del 2018 contro le proteste pacifiche nate come reazione alle riforme unilaterali della previdenza sociale. Quelle proteste erano lo sfogo di un malcontento sociale che si accumulava da quando Ortega era tornato al potere e che vedeva un forte deterioramento delle libertà civili; la soppressione della separazione dei poteri rendendo tutte le istituzioni dello Stato soggette alla presidenza; le frodi elettorali diventate sempre più evidenti; la vendita di parte del territorio nazionale a una impresa cinese per la costruzione di un canale interoceanico; l’indottrinamento nel sistema educativo; l’utilizzazione dello Stato per fini di partito.

Alle proteste, il regime di Ortega rispose con la repressione provocando vittime civili, l’indignazione generale e proteste generalizzate: manifestazioni, blocchi stradali, scioperi. La popolazione chiedeva la cessazione delle violenze e le dimissioni del presidente Daniel Ortega e della moglie Rosario Murillo, vicepresidente.

Il numero esatto delle persone uccise e scomparse è sconosciuto. Secondo un aggiornamento della Commissione Interamericana sui Diritti Umani, sono 355 gli omicidi documentati commessi dal regime. Soffocate le proteste, smantellati i blocchi e perseguiti i leader locali e nazionali, la repressione si è intensificata con sequestri e incarcerazioni instaurando uno Stato di polizia in tutto il paese. Ad oggi si contano almeno 190 i prigionieri politici in carcere, senza contare i rilasciati che vivono sotto continua persecuzione. Le organizzazioni della società civile di femministe, di difensori dei diritti umani, di istituzioni educative, diventate bersaglio del regime e “legalmente” cancellate, sono oltre 600. Queste misure autoritarie e un controllo dittatoriale fanno che l’intero Nicaragua si trovi oggi sotto sequestro da parte della presidenza con una sequela a grande scala di migrazioni. Dall’inizio delle proteste, secondo l’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Costa Rica, oltre 100mila persone hanno lasciato il Paese (Nicaragua. Tra silenzio ed esilio).

La vicenda di Dora Maria Téllez

Particolarmente significativa è la vicenda di Dora Maria Téllez, storica comandante della rivoluzione sandinista nicaraguense, rinchiusa da oltre 500 giorni nelle tremende prigioni di El Chipote a cui l’Università Paris III – Sorbonne Nouvelle ha assegnato a fine novembre scorso un dottorato honoris causa, per rendere omaggio al “suo eccezionale percorso politico e scientifico e al suo impegno per la democrazia e la giustizia sociale”.

Accettando il dottorato a nome della prigioniera, il giornalista Chamorro ha invitato i movimenti di sinistra e i governi dell’America Latina ad alzare la voce contro il regime nicaraguense: “Una dittatura non può essere giustificata con il pretesto della sinistra”. (Nicaragua, l’audacia e la risata invincibile di Dora María Téllez).

Ci si interroga sul perché oggi non stiamo assistendo a una vasta campagna per la sua libertà e per la denuncia del regime di terrore di Ortega-Murillo. La desolante risposta è che, scrive Raúl Zibechi (Las izquierdas ante Dora María Téllez), salvo rarissime eccezioni, la sinistra e le forze politiche progressiste, non solo latinoamericane, non sono interessate ai diritti civili, ma guardano solo al potere; scommettono tutto sul potere e per amore del potere sacrificano etica e dignità. Tutto ciò ha una sua logica: se il potere è tutto, il resto ha poca importanza, poiché è subordinato all’obiettivo principale.

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I commenti dai nostri lettori (2)

Paul Attard 30.04.2023 Comment les idéaux sont détournés par la soif de pouvoir ! Unfortunately, a typical case of abuse of power. Ortega started off as a ‘liberator’, but has slowly descended into corruption to power. Why does power make people act like that? A mystery.
Dario P 06.05.2023 E si! come tutti del resto..shamefully L uomo vive di gioia quando ha il potere nella mani vive di odio quando il potere le sfugge dalle mani....its shame especially when those revolutionaryies use power against their owns..in my view there is no mystery but human greed..or the devil if you may!!