Si tratta di 385 miliardi di dollari di finanziamenti in tre anni. Tra prestiti e sottoscrizioni, il sostegno delle banche all’industria del carbone è rimasto stabile nell’ultimo triennio. Soprattutto a causa della Cina.
È sabato 13 novembre 2021 e, con un giorno di ritardo sulla tabella di marcia, la ventiseiesima Conferenza delle parti sul clima si chiude con il Patto di Glasgow. Un documento che mette nero su bianco l’impegno a ridurre gradualmente (phase down) l’uso dell’energia da carbone.
Sempre a margine della Cop26 prende il via ufficialmente la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz), una coalizione di centinaia di banche, fondi e assicurazioni che promettono di decarbonizzare i loro portafogli.
Ci si aspettava, se non un crollo immediato e definitivo, perlomeno un calo dei finanziamenti erogati a favore della fonte fossile più sporca, obsoleta e inquinante in assoluto. Così non è stato. Le 650 maggiori banche commerciali hanno elargito al carbone 132 miliardi di dollari nel 2022, 123 nel 2023, 130 nel 2024. «Come se a Glasgow non fosse mai successo nulla», chiosa Katrin Ganswindt, direttrice per la ricerca finanziaria di Urgewald, una delle Ong che hanno pubblicato il rapporto Still Banking on Coal.
Dalle banche 385 miliardi di dollari all’industria del carbone in tre anni
Still Banking on Coal è un progetto congiunto di Urgewald insieme ad altre 23 organizzazioni non governative. Si basa, tra gli altri, sui dati di Banking on Climate Chaos – lo studio più approfondito sul sostegno delle grandi banche ai combustibili fossili – e sulla Global Coal Exit List, l’elenco delle aziende coinvolte nella filiera del carbone termico. Prende in esame, come detto, 650 banche commerciali in tutto il mondo. Queste ultime, nel triennio 2022-2024, hanno stanziato complessivamente 385 miliardi di dollari per l’industria del carbone. Per la maggior parte sotto forma di collocamento di obbligazioni o azioni sul mercato finanziario per loro conto, ma anche – in misura minore – sotto forma di prestiti. Le cifre sono rimaste sostanzialmente stabili nei tre anni considerati: il calo registrato nel 2023 è stato prontamente recuperato nel 2024.
Il problema è che la combustione del carbone è la causa scatenante di circa il 30% dell’aumento di temperatura del nostro Pianeta. Che nel 2024 ha già superato, seppur temporaneamente, la soglia (non solo psicologica) degli 1,5 gradi centigradi in più rispetto ai livelli preindustriali. In un futuro a emissioni zero non c’è più spazio per il carbone, ma le banche sembrano non volerlo capire. «Gli investitori devono rivedere le loro partecipazioni nelle banche che continuano a tenere in vita il carbone. I regolatori devono limitare i flussi finanziari che aumentano il rischio sistemico. E la società civile deve denunciare ogni singola banca che contribuisce a mantenere la stretta dell’industria del carbone sul nostro futuro», ribadisce Ganswindt.
Cina, Stati Uniti, Giappone: da dove arrivano i soldi per il carbone
A fare la parte del leone sono le banche cinesi che, da sole, totalizzano 248 miliardi di euro su 385. Indirizzandoli quasi solo ad aziende connazionali. L’unica ad avere diminuito il proprio sostegno al carbone è Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), passata dagli 8 miliardi di dollari del 2022 ai 6,5 del 2024. Viceversa, la prima in classifica – Citic – nel triennio è diventata sempre più generosa: quasi 8 miliardi nel 2022, 8,6 nel 2023, addirittura 12,7 nel 2024.
Nelle altre aree del mondo, gli ordini di grandezza sono di molto inferiori. Le banche statunitensi raggiungono un totale di 51 miliardi elargiti al carbone nel triennio. Con Bank of America, JPMorgan Chase e Wells Fargo a dominare la classifica, a quota rispettivamente 6,8, 5,1 e 4,8 miliardi. Altri 21 miliardi arrivano dal Giappone: le prime della lista sono Mizuho Financial (7,6 miliardi nel triennio) e Mitsubishi UFJ Financial (5,2 miliardi) che sono anche le prime non nordamericane nella classifica di Banking on Climate Chaos, rispettivamente in sesta e quarta posizione.
Nella top 10 dei maggiori finanziatori delle fonti fossili c’è una sola europea, Barclays. Anche nel sostegno al carbone il colosso britannico è il primo della lista: è l’unico in tutto il Continente a superare stabilmente il miliardo di dollari all’anno. Nota di merito – se così si può dire – per l’Italia. Unicredit e Intesa Sanpaolo totalizzano rispettivamente 831 e 295 milioni di dollari nel triennio: la prima vede un brusco calo, dai 523 milioni del 2022 ai 165 del 2024, mentre la seconda mostra un trend altalenante (69 milioni nel 2022, 140 nel 2023, 86 nel 2024). Nel suo insieme, l’Italia si ferma a 1,16 miliardi nel triennio ed è dunque all’ultimo posto nella top 20.
Vedi, Il carbone resiste grazie alle banche: 385 miliardi di dollari di finanziamenti in tre anni
Foto. Le banche cinesi sono le maggiori finanziatrici del carbone © Zhonghui Bao/iStockPhoto
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