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Le industrie estrattive canadesi sono le peggiori per l’ambiente e i diritti umani

Ottawa 24.10.2013 Les Whittington Bureau Tradotto da: Josefa López

Le industrie estrattive canadesi sono, nel mondo, di gran lunga le peggiori responsabili di abusi ambientali, di diritti umani e di molti altri illeciti, sostiene uno studio internazionale commissionato da un’associazione di industrie però mai pubblicato.

“Le società canadesi sono state il gruppo coinvolto in modo più pesante negli sfortunati incidenti in Paesi in via di sviluppo”, afferma il rapporto ottenuto dal Toronto Star. “Le società canadesi hanno giocato un ruolo decisamente maggiore rispetto alle loro concorrenti dell’Australia, del Regno Unito e degli Stati Uniti” in questi incidenti, sostiene il Centro Canadese per lo Studio dei Conflitti sulle Risorse, un think-tank indipendente senza scopo di lucro.

 “Le società canadesi tendono probabilmente a essere molto coinvolte più in conflitti relativi al contesto sociale per i loro comportamenti eticamente scorretti e dannosi all’ambiente che in conflitti di specifici problemi occupazionali”.

La ricerca è venuta allo scoperto quando è arrivata al capolinea una lunga e feroce battaglia politica sulla legislazione che intendeva incrementare il controllo del governo federale sulle attività estrattive canadesi.

La proposta di legge C-300, portata avanti da John McKay, un membro del Toronto Liberal MP,  sarà votata nella Camera dei Comuni la prossima settimana (il decreto fu votato il 27 ottobre 2010, ndr).

In numero degli incidenti internazionali che coinvolgono le società canadesi è molto ampio, sostiene il rapporto. “Delle 171 società identificate nelle tensioni che hanno coinvolto industrie estrattive e di esplorazione negli ultimi dieci anni, il 34% sono canadesi”, ha scoperto il Centro. Esso sostiene che l’alta incidenza del coinvolgimento delle società canadesi è in linea con la posizione dominante dell’industria canadese nell’attività esplorativa ed estrattiva internazionale.

Ma “questo non rende eticamente più accettabili le violazioni individuali o societarie, specialmente se si considerano i tentativi intrapresi negli anni recenti dal settore industriale e dal governo per migliorare” le politiche dell’industria estrattiva canadese, sostiene il Centro.

Lo studio è stato sovvenzionato dalla Prospectors and Developers Association of Canada (PDAC) di Toronto. È stato completato nell’ottobre del 2009, ma non è mai stato pubblicato.

Lo studio sostiene che le cause principali degli scontri che coinvolgono le industrie estrattive canadesi sono collegate a conflitti con le comunità, includendo “rilevanti disordini culturalmente ed economicamente negativi per le comunità ospitanti, senza contare importanti proteste e violenze fisiche”.

La seconda causa più comune di questi conflitti concerne il degrado ambientale, dovuto a comportamenti non eticamente corretti, che il Centro definisce compiuti in Stati sotto embargo o che non si curano di trascurare i diritti umani o le leggi locali.

Il rapporto evidenzia che il governo canadese e il settore industriale nel suo insieme hanno speso tempo e denaro per conscientizzare ai principi di responsabilità sociale delle imprese nel settore minerario. “Se però si esamina l’attuale realtà contestuale, i risultati danno un’immagine non tanto ideale della responsabilità sociale delle imprese nel settore estrattivo canadese”.

 “E’ chiaro dunque che l’industria esplorativa ed estrattiva canadese deve cambiare la sua attuale politica operativa se vuole migliorare le sue relazioni con le comunità locali, i governi, la società civile e ridurre gli scontri”.

Degli incidenti riportati, la maggior parte avvengono nelle attività estrattive di oro, rame e carbone. I quattro paesi da considerare come zone calde sono l’India, l’Indonesia, le Filippine e la Repubblica Democratica del Congo. Sul piano regionale, però, l’America Latina è quella che registra maggiori incidenti, seguita dall’Africa sub sahariana e dal Sud Est asiatico.

Il Centro sostiene che la maggior parte degli scontri è stata fatta conoscere dai rapporti di organizzazioni non governative (ONG). Per questo molti nell’industria estrattiva canadese accusano le ONG di una propensione anti-attività estrattiva, che ha portato a incriminazioni esagerate e prive di fondamento contro le compagnie canadesi operanti nei Paesi in via di sviluppo.

Bernarda Elizalde, direttrice del PDAC, sostiene che “si tratta di allegazioni e non di realtà comprovate”, e fa’ notare che gli incidenti che coinvolgono le compagnie canadesi sono solo sei in media ogni anno.

La ricerca, sostiene Elizalde, non offre alcuna informazione recente. “Non c’è nulla di nuovo perché sapevamo già che c’erano cose da migliorare” nelle attività delle imprese all’estero, ha affermato in un’intervista. E ha aggiunto che lo studio mostra che quanto spesso si vede come conflitti legati ai diritti umani sono problemi che sorgono dall’interazione di una compagnia con la comunità dove sta operando.

“Così ciò che stiamo cercando di fare è assicurare alle imprese degli strumenti perché sappiano capire come possono iniziare a migliorare la loro relazione con le comunità locali, come essere più inclusivi e rispettosi; è una consapevolezza che stiamo creando, ma è un processo che si realizza passo dopo passo”. I miglioramenti hanno bisogno di tempo, sostiene.

Il rapporto è stato commissionato come parte di una ricerca dell’industria in vista della discussione sulla proposta di legge C-300. Ma, sostiene Elizalde, una volta che il PDAC ha ricevuto lo studio, si è deciso di non pubblicarlo perché si vedeva che era necessario compiere ricerche più complete.

Giovedì, i sostenitori della legge di McKay volta a rafforzare il controllo dell’industria estrattiva canadese saranno a Parliament Hill per tentare di far passare la legge. Introdotta nel maggio del 2009, questa proposta di legge è andata molto più lontano nel percorso parlamentare di qualsiasi altra legge proveniente da un privato. Ma il voto finale del 27 ottobre sarà sul filo di lana.

I sostenitori della proposta di legge dicono che è necessario porre un limite a una lunga storia di abusi dell’industria estrattiva canadese nei paesi in via di sviluppo. L’industria estrattiva da parte sua ha intrapreso una vera propria campagna contro una legge sostenendo che danneggerebbe i suoi interessi commerciali, assoggettandola ad accuse infondate, e che si pretenderebbe imporre norme canadesi in Stati sovrani. (Nel voto finale la proposta di legge C-300 fu respinta per soli 6 voti ndr).

Fonte:

http://www.thestar.com/news/canada/2010/10/19/canadian_mining_firms_worst_for_environment_rights_report.html

Per chi sapesse il francese questo link porta ad une trasmissione di France Culture "A qui profite la mine": http://www.franceculture.fr/emission-culturesmonde-vingt-mille-lieux-sous-la-terre-voyage-dans-l%E2%80%99enfer-minier-44-a-qui-profite-l

 

 

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