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Massacro a Goma: a rischio le elezioni nella RD Congo ed il futuro della Missione ONU

Crisis Group 15.09.2023 Richard Moncrieff e Onesphore Sematumba Tradotto da: Jpic-jp.org

Il 30 agosto, truppe d'élite hanno massacrato più di 50 civili che volevano protestare contro la presunta interferenza straniera nella parte orientale della RD Congo, a tre mesi dalle elezioni. La missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, MONUSCO, è considerata "inutile di fronte a un'insicurezza sempre più grave" e la popolazione ha ripetutamente chiesto il suo ritiro. Cosa è successo a Goma il 30 agosto e dopo? Gli esperti del Crisis Group spiegano la posta in gioco. A cura di www.jpic-jp.org   

 

Nelle prime ore del mattino del 30 agosto, i soldati della Guardia Repubblicana ed altre unità dell'esercito hanno preso d'assalto una chiesa ed una stazione radio appartenenti alla setta nota come Agano la Uwezo/Wazalendo (Chiesa dei Patrioti, in swahili) a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, all’oriente della Repubblica Democratica del Congo (RDC). La setta aveva annunciato l'intenzione di manifestare contro la missione di pace delle Nazioni Unite, o MONUSCO, nonché contro la forza della Comunità dell'Africa Orientale, dispiegata per arginare le violenze dei gruppi armati nell'est del Paese nell'agosto 2022, e contro le ONG occidentali che operano nell'area.

Sebbene le autorità provinciali avessero vietato la protesta, i membri della setta si erano comunque riuniti nella chiesa quella mattina. Testimoni oculari hanno riferito che dei soldati d'élite, equipaggiati come se stessero affrontando dei nemici armati, hanno ucciso decine di civili, ne hanno feriti ed arrestati molti altri, ed hanno gettato i corpi dei morti sul retro di camion militari prima di dare fuoco alla chiesa.

Mentre i video della carneficina iniziavano a circolare sui social media, le autorità provinciali hanno stimato il bilancio provvisorio delle vittime in sei civili più un poliziotto che era stato linciato dalla gente del posto. Nel frattempo, il governatore militare del Nord Kivu, il generale Constant Ndima, ha etichettato la setta come un gruppo di banditi armati, nel tentativo apparente di giustificare il massacro. Il giorno successivo, il governo ha rivisto al rialzo il bilancio delle vittime annunciando che c'erano 43 morti (successivamente rettificati in 51), 56 feriti e 138 detenuti; ha dichiarato che gli arrestati sarebbero stati processati per i reati di cospirazione criminale e partecipazione ad un movimento insurrezionale. In un comunicato stampa incendiario, il portavoce del governo Patrick Muyaya ha cercato di incriminare la setta accusando i suoi membri di aver minato l'ordine pubblico, affermando che avevano lapidato un agente di polizia, cosa che aveva spinto le forze di sicurezza a intervenire. Molti osservatori ritengono che, al contrario, il linciaggio sia avvenuto dopo che i soldati avevano aperto il fuoco.

Invece di placare l'indignazione dell'opinione pubblica per questo massacro sfrontato, la risposta confusa delle autorità ha gettato benzina sul fuoco. I residenti di Goma non riuscivano a spiegarsi l'efferatezza del raid, eccezionale anche per gli scarsi standard del Paese in materia di diritti umani. Percependo l'umore dell'opinione pubblica, Kinshasa ha cambiato discorso.

Il 1° settembre, il presidente Félix Tshisekedi ha chiesto al suo governo di fare luce sulla "spaventosa tragedia". Dopo che il giorno seguente alcuni ministri chiave del governo si sono recati in fretta e furia a Goma, le autorità hanno arrestato due alti ufficiali della Guardia Repubblicana e quattro soldati per il loro presunto coinvolgimento nel raid, affermando che sarebbero stati processati al più presto. Kinshasa ha anche richiamato il governatore militare Ndima "per consultazioni". Ndima ricopre il ruolo di massima autorità nel Nord Kivu dal maggio 2021, quando Tshisekedi mise la provincia, insieme all'adiacente Ituri, in "stato d'assedio" per affrontare le decine di gruppi armati stranieri e locali che operano nell'area.

Quando il 5 settembre si è aperto il processo ai soldati, il pubblico ministero della RDC ha dichiarato che gli imputati hanno agito indipendentemente dallo Stato nella loro "macabra impresa". Ma il procedimento si è sempre più concentrato sul ruolo del Ruanda nella RDC orientale, in particolare sul suo sostegno al movimento ribelle M23 che è riemerso dopo quasi un decennio d’inattività, attaccando le posizioni dell'esercito nel Nord Kivu nel 2021. L'8 settembre, il comandante della Guardia Repubblicana di Goma, il colonnello Mike Mikombe, ha dichiarato d’essere stato informato dall'intelligence militare che coloro che stavano pianificando la marcia erano "ausiliari dell'M23". Giorni prima, il Ministro degli Interni Peter Kazadi aveva già giustificato il dispiegamento dell'esercito il 30 agosto come una minaccia proveniente dal Ruanda, osservando che "le forze speciali ruandesi erano state dispiegate lungo tutto il confine [con la RDC]". Le forze speciali della Guardia Repubblicana sarebbero quindi entrate in azione "per rassicurare la popolazione e creare un effetto deterrente".

Considerando le loro azioni come parte degli sforzi per contrastare l'M23 ed il Ruanda, gli imputati ed il governo stanno cercando di giustificare il raid del 30 agosto come legato alla protezione di Goma. Ma con l'avanzare del processo, questa linea di difesa ha iniziato a sgretolarsi, con le deposizioni di vari testimoni che hanno evidenziato gravi problemi nella catena di comando dell'esercito. Ad esempio, durante l'udienza del 9 settembre, il capo dell'intelligence militare per il Nord Kivu ha accusato la Guardia Repubblicana di aver ucciso civili disarmati, dopo che lui stesso era stato disarmato per ordine del colonnello Mikombe: "Il comandante della Guardia Repubblicana mi ha chiesto di smettere di parlare con i manifestanti. I manifestanti erano disarmati quando ho parlato con loro. Io ero lì e abbiamo contato sul posto 42 morti e 33 feriti ".  

Perché l'incidente è di cattivo auspicio per le elezioni nazionali previste per dicembre?

La repressione arriva nel mezzo di tensioni diffuse a Goma. I ribelli dell'M23, pesantemente armati, minacciano periodicamente la città, provocando migliaia di sfollati. Molti residenti sono risentiti nei confronti della MONUSCO, la forza delle Nazioni Unite, composta da 16.000 uomini, che considerano priva di mordente di fronte al peggioramento dell'insicurezza. Nel giugno e luglio 2022, violente manifestazioni contro la MONUSCO hanno causato la morte di cinque peace keepers e 30 civili a Goma e nelle città di Beni, Butembo e Kasindi, sempre nel Nord Kivu. Da allora, la forza ONU ha mantenuto un basso profilo. La rabbia popolare nei confronti delle forze straniere in territorio congolese è ora rivolta anche alla forza dell'Africa orientale, che i residenti ritengono inutile quanto la missione ONU. Anche il malcontento nei confronti di Tshisekedi, salito al potere promettendo di portare la sicurezza nell'est del Paese, è palpabile. La sua popolarità nel Nord Kivu, un'importante circoscrizione elettorale, è crollata in vista delle elezioni presidenziali previste per dicembre.

Inoltre, i residenti di Goma lamentano che la legge marziale ha ristretto lo spazio civico e limitato fortemente le libertà politiche. Dal maggio 2021, membri del Parlamento nazionale ed attivisti della società civile sono stati arrestati, processati ed imprigionati per aver criticato o manifestato pacificamente contro lo stato d'assedio. Le autorità provinciali hanno anche risposto alle notifiche di proteste programmate avvertendo gli organizzatori che avrebbero "affrontato i rigori della legge" se fossero andate avanti. Il sindaco di Goma aveva lanciato avvertimenti simili prima del massacro del 30 agosto.

La popolarità dei movimenti politico-religiosi in questione complica ulteriormente le cose. La setta Wazalendo è uno dei tanti gruppi messianici congolesi il cui messaggio religioso si intreccia con un discorso politico incentrato su come gli estranei stiano presumibilmente minando la sovranità congolese. I suoi leader hanno denunciato gli accordi del governo con le "forze straniere" (cioè i partner della sicurezza e le ONG) e l'imposizione della legge marziale. Sostengono d’ispirarsi a figure storiche come l'ex primo ministro Patrice Lumumba ed il defunto leader religioso Simon Kimbangu.

Il governo teme che queste sette possano intensificare le loro proteste, galvanizzando l'opposizione a Kinshasa e peggiorando le già notevoli sfide alla sicurezza. Questa preoccupazione non è nuova, né il massacro di Wazalendo è il primo del genere. Nel 2020, la polizia ha lanciato un assalto ai luoghi di culto del movimento politico-religioso Bundu dia Kongo di Ne Muanda Nsemi, uccidendo almeno 55 persone nella provincia del Congo Centrale ed a Kinshasa, prima di dare fuoco alle chiese del gruppo. Nessun membro delle forze di sicurezza è stato poi punito per l'incidente.

Con i preparativi ben avanzati e le elezioni che si terranno probabilmente a dicembre, il massacro del 30 agosto mette in serio dubbio la capacità del governo di gestire le inevitabili manifestazioni durante la prossima campagna elettorale (novembre e dicembre) ed il periodo successivo all'annuncio dei risultati, da fine dicembre in poi. L'incidente continua la violenta repressione delle manifestazioni dell'opposizione, come quella a Kinshasa del 20 maggio.

Perché la forza delle Nazioni Unite è stata coinvolta in questi eventi?

La presenza militare dell’ONU nella RDC risale a 24 anni fa. Tra il 1999 ed il 2010, una forza dell’ONU è stata dispiegata per monitorare il cessate il fuoco tra le truppe governative ed i ribelli sostenuti dall'estero che controllavano ampie zone dell'est del Paese; ha poi preso parte agli sforzi per riunificare il Paese. Nel 2010 è subentrata la MONUSCO, che ha cercato di consolidare la pace, in particolare proteggendo i civili. Ma a tredici anni di distanza, i gruppi armati continuano a vagare per le campagne, saccheggiano le risorse naturali della regione ed uccidono civili. Sebbene sarebbe ingiusto dare la colpa dell'insicurezza alla MONUSCO o suggerire che la missione non offre alcun beneficio alla regione, è innegabile che la missione ONU è stata inefficace nello svolgere il suo compito principale. La regione non è sicura, i residenti di Goma sono profondamente frustrati e chiedono a gran voce la sua partenza.

Kinshasa ha avuto a lungo un rapporto difficile con la missione ONU, anche se è migliorato per un po' dopo l’insediamento di Tshisekedi come presidente nel gennaio 2019. Il 20 dicembre 2021, il governo e la MONUSCO hanno concordato un piano di transizione per un ritiro "ordinato e responsabile" entro la fine del 2024. I rapporti, tuttavia, sembrano essersi ulteriormente peggiorati dopo l'incidente del 30 agosto.

Quando si è resa conto che dare la colpa del massacro a presunti metodi sovversivi della setta non avrebbe funzionato, anche Kinshasa ha rivolto le sue ire contro la forza ONU. Il 1° settembre, il ministro degli Esteri Christophe Lutundula ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di procedere immediatamente con un piano di transizione accelerato che preveda il ritiro della MONUSCO entro la fine del 2023. In una lunga lettera al Consiglio, Lutundula cita, tra l'altro, "gli ultimi sfortunati incidenti avvenuti a Goma il 30 agosto 2023, che hanno causato la perdita di vite umane" tra le ragioni per richiedere una rapida partenza della forza ONU. Il Consiglio non ha ancora risposto.

Sebbene la lettera lasci spazio all'interpretazione, l'effetto principale potrebbe essere quello di anticipare la data d’inizio del ritiro a prima delle elezioni piuttosto che a dopo. Ma il cambiamento di tono è notevole e potrebbe influenzare le relazioni tra Kinshasa e New York per tutto il 2024.

Chiedere un'accelerazione del ritiro della MONUSCO sulla scia degli omicidi di Goma è un'azione politica che potrebbe rafforzare la posizione popolare di Tshisekedi. La decisione del Mali di chiedere il ritiro della missione ONU incaricata di operare in loco sembra risuonare positivamente in molti congolesi, almeno guardando i post sui social media.

Tuttavia, il ritiro affrettato delle truppe ONU dalla RDC orientale dove sono l'unico baluardo, per quanto debole, contro gli abusi dei gruppi armati potrebbe avere conseguenze nefaste. Particolarmente a rischio sarebbero le decine di migliaia di sfollati interni raggruppati nei campi intorno alle basi della MONUSCO nell'Ituri, così come altre comunità vulnerabili. Quando l'ONU si ritirerà, soprattutto se in modo precipitoso, con l'esercito nazionale incapace di fermare gli scontri, il prossimo presidente della RDC dovrà affrontare immediatamente un'enorme sfida per colmare il vuoto di sicurezza lasciato dalla forza ONU.

Il massacro avrà conseguenze politiche e cosa si può fare per evitare che si ripeta?

Gli eventi del 30 agosto hanno messo in luce le enormi falle negli accordi di sicurezza di Tshisekedi per l'est del Paese e rischiano d’offuscare la sua campagna per un nuovo mandato. Sebbene il popolo congolese fosse ampiamente solidale con l'esercito nella sua lotta contro l'M23, l'illusione si è infranta quando la Guardia Repubblicana, che dipende direttamente da Tshisekedi, si è scagliata in modo così spudorato contro i propri connazionali, compresi bambini e donne.

Rendendosi conto dell'impatto potenzialmente dannoso sulla sua candidatura per un secondo mandato, Tshisekedi ha prontamente contrastato i tentativi del governatore militare di giustificare gli abusi delle forze di sicurezza ed i successivi messaggi accusatori del portavoce del governo. Portando in tribunale i sei ufficiali militari coinvolti nel massacro, Tshisekedi sta probabilmente cercando di prendere le distanze dalla Guardia Repubblicana. Questa mossa convincerà gli osservatori della presunta innocenza del governo in questa vicenda? Molti congolesi si chiedono come un'unità militare che fa capo alla presidenza abbia potuto dispiegarsi in modo così massiccio e con così tanti veicoli, sparando alla gente e trasportando i morti ed i feriti in un campo militare senza che i loro superiori nella capitale li controllassero.

Lo stato d'assedio, nel frattempo, si aggiunge alle numerose lamentele della popolazione dell'est, con il presidente che non mostra alcun segno d’allentare la presa dei militari. Sebbene la Costituzione preveda lo stato d'assedio per la durata di quindici giorni, rinnovabile a seguito d’una valutazione, quello attuale è in vigore ininterrottamente dal maggio 2021, senza apportare alcun miglioramento significativo alla situazione generale d’insicurezza. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani ed altre organizzazioni hanno ripetutamente chiesto di revocarlo. Tra il 14 ed il 16 agosto, Tshisekedi ha organizzato a Kinshasa una tavola rotonda che ha riunito attori politici e membri della società civile dell'est, la maggior parte dei quali ha esortato le autorità a revocare immediatamente lo stato d'assedio. Il governo ha finora ignorato i loro appelli ed il 30 agosto ha prorogato la misura per quindici giorni. Molti sospettano che i militari utilizzino il controllo offerto dallo stato d'assedio per arricchirsi, sfruttando ulteriormente la popolazione.

La priorità immediata di Tshisekedi dovrebbe essere quella di mettere in atto le misure necessarie per rendere sicuro il più possibile il Nord Kivu all'approssimarsi delle elezioni, ponendo immediatamente fine alla legge marziale, che non fa altro che fomentare le rimostranze locali. Dovrebbe inoltre impegnarsi nuovamente per eliminare la violenza e l'impunità tra le sue stesse forze di sicurezza, per evitare che si ripeta una tragedia come quella del 30 agosto, il cui rischio non può che aumentare con l'acuirsi delle tensioni della campagna elettorale. È un passo positivo che il sistema giudiziario militare abbia rapidamente avviato il processo ai presunti responsabili delle uccisioni di Goma. Ma le autorità dovrebbero garantire, attraverso un'indagine seria, che tutte le persone coinvolte, compresi i membri della gerarchia militare a Goma e Kinshasa, siano ritenute responsabili delle loro azioni. Per quanto riguarda il ritiro della MONUSCO, tutte le parti interessate - il governo e le Nazioni Unite - dovrebbero mantenere il loro impegno a garantire che avvenga senza intoppi attraverso un piano di transizione consensuale. Agire in modo precipitoso proprio quando si sta svolgendo un'elezione potenzialmente pericolosa non è nell'interesse di nessuno.

Si veda, Massacre in Goma Clouds DR Congo’s Elections and UN Mission’s Future

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I commenti dai nostri lettori (3)

Paul Attard 25.10.2023 It seems that MONUSCO is as toothless as the UN itself! Such a shame.
Gianni Rottoli 31.10.2023 Siamo alle solite. Finchè il Congo non avvisa chiaramente e ad alta voce i Governi dei Paesi confinanti ( Es. RWANDA ) che non tollerera' le scorrerie dei banditi / milizie da loro ben visti se non addirittura sostenuti, affinchè possano trovare strade libere per saccheggiare minerali rari' in quantità attese sul mercato internazionale. Tutto a danno del Congo ed ancor più delle popolazioni del Nord Kivu sempre più danneggiate.
Margaret Henderson 08.11.2023 I am always very grateful that you include articles about the Congo, even when they are as sad as the massacre in Goma, as there is so little coverage in the press here.