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Capitalismo in modalità criminale

La Jornada en Internet 30.12.2022 Raúl Zibechi Tradotto da: Jpic-jp.org

La Svizzera importa il 70% dell’oro mondiale. Come gli Stati Uniti compra buona parte dei lingotti e dei gioielli dal Sudamerica, dove però l’esportazione del principe dei metalli ha una percentuale che prende la via del traffico illegale impressionante: 91% in Venezuela, 80% in Colombia, 77% in Ecuador e 30% in Bolivia e Perù. In questi ultimi due Stati l’export di oro contribuisce all’economia nazionale in misura ormai molto maggiore del narcotraffico e ne ha le stesse caratteristiche mafiose. È il portato inevitabile dell’estrattivismo, economie legali e criminalità organizzata sono ormai quasi indistinguibili. Com’è possibile che Stati che il mondo intero riconosce come democratici, in sostanza perché indicono elezioni, vivano – quale che sia il colore dei loro governi – sostanzialmente di questo tipo di economie?

In America Latina si sta espandendo in maniera esponenziale un capitalismo criminale o mafioso, nelle cui pratiche si dissolvono le differenze tra formalità, informalità e crimine, come sostiene il ricercatore peruviano Francisco Durand e come aveva analizzato tempo fa l’argentino Marcelo Colussi in un articolo sul capitalismo “mafioso”.

Abbiamo un numero sempre maggiore di dati e di studi che mettono in luce le modalità operative di questo capitalismo predatorio e criminale che, indubbiamente, è la forma che il sistema assume in questo periodo. Il numero 10 (luglio-sett. 2022) della rivista Quehacer, del centro Desco di Lima, sottolinea che l’esportazione di oro estratto illegalmente ha raggiunto nel 2020 un totale di almeno 3.900 milioni di dollari, superando il narcotraffico.

Parallelamente, il senatore boliviano Rodrigo Paz segnala che il suo paese è assediato dalle mafie dell’oro, del contrabbando e del narcotraffico, che raggiungono la cifra impressionante di 7,5 miliardi di dollari. Il traffico di droga contribuisce con 2,5 miliardi di dollari all’anno, il contrabbando con 2 miliardi di dollari e l’oro con 3 miliardi di dollari. Il governo, incapace di accedere a prestiti esteri, lascia fluire queste risorse perché muovono l’economia nazionale, ha twittato Rodrigo Paz.

Per avere un’idea dell’importanza di queste cifre, bisogna confrontare i 7,5 miliardi di dollari di economie illegali con i 9 miliardi di dollari delle esportazioni totali del paese. Una proporzione incredibile, che rivela l’importanza delle economie mafiose. L’oro illegale è passato al primo posto rispetto al traffico di droga in entrambi i paesi, anche se il Perù è il secondo produttore mondiale di coca e cocaina.

Più significativo, tuttavia, è il modo in cui funziona il circuito attraverso cui l’oro illegale si converte in oro legale. Solo in Perù, ci sono 250.000 minatori informali o artigianali che vivono in pessime condizioni, subiscono estorsioni e violenze da parte degli intermediari, finché l’oro non arriva a chi ne fa incetta per rivenderlo sul mercato.

Al processo di estrazione e commercia­lizzazione partecipano minatori legali e illegali, e la linea di demarcazione tra gli uni e gli altri è sottile, poiché spesso il medesimo incettatore acquista da entrambi.

Gli impianti di lavorazione di solito hanno una doppia contabilità, per accedere sia al minerale legale che a quello illegale. L’oro trasformato in lingotti o gioielli parte per le due destinazioni finali più importanti: la Svizzera e gli Stati Uniti. La prima importa il 70% dell’oro mondiale. La Bolivia e il Perù producono illegalmente quasi il 30% dell’oro, una percentuale che raggiunge il 77% in Ecuador, l’80% in Colombia e il 91% in Venezuela, secondo i dati forniti dal libro La minería no formal en el Perú.

Questo libro riproduce un brano di un testo del criminologo svizzero Mark Pieth, che descrive la situazione a La Rinconada, nel distretto di Puno, a più di 5mila metri di altitudine e con temperature di 22 gradi sotto zero, dove 60mila cercatori d’oro sono ammassati in un centro abitato che 25 anni fa ospitava solo 25 famiglie.

Un fetore insopportabile di urina e feci umane pervade l’ambiente, e le condizioni di vita e di lavoro sono orrende. L’autore mette a confronto questa realtà con il fascino dell’oro in Svizzera, dove l’impresa produttrice di orologi Swatch “spende ogni anno, solo per presentare i suoi nuovi orologi d’oro, 50 milioni di franchi svizzeri, e bellissime modelle presentano gioielli per il piacere di chi se li può permettere” (p. 73).

Il capitalismo mafioso provoca enormi danni ambientali e sociali, come inquinamento e deforestazione, nonché omicidi e sparizioni di persone, stupri e femminicidi, perpetrati dalle mafie. Una delle sue conseguenze è la tratta di esseri umani per vari scopi: sfruttamento sessuale e lavorativo, vendita di bambini e traffico di organi. Nel capitalismo mafioso, le persone sono una merce come le altre, che può essere fatta a pezzi in totale impunità a causa della complicità dello Stato.

Infine, dovremmo rispondere a una domanda che ci permetta di completare il quadro, una domanda che i ricercatori generalmente non si pongono: qual è lo Stato che corrisponde a questo capitalismo mafioso che distrugge tutto per accumulare sempre più capitale?

È uno Stato per la guerra, per l’espropriazione contro quelli che stanno in basso. Ma ha una particolarità che lo differenzia dalle dittature che hanno devastato la nostra regione: si tinge di colori democratici, indice elezioni anche se ci sono sempre meno libertà, dal momento che i monopoli bloccano la libertà di informazione e di espressione. Insomma: uno Stato criminale-elettorale.

Coloro che pretendono di costituire un governo, devono sapere che amministreranno un capitalismo criminale e predatorio, impossibile da regolamentare. Questo è il motivo per cui i governanti progressisti continuano con l’estrattivismo e le grandi opere infrastrutturali, e si voltano dall’altra parte quando si verificano gli assassinii di leader sociali.

Rivolgere lo sguardo altrove è un modo di lasciar fare, come fa la Svizzera quando importa oro intriso di sangue e morte. Rispondendo a una domanda che gli viene rivolta sul perché la Svizzera continui a importare questo oro, Mark Pieth conclude: “Vogliono fare commercio, fare un’isola dei pirati” (p. 74).

Vedere, Capitalismo en modo criminal

Traduzione italiana. Capitalismo in modalità criminale a cura di Camminardomandando

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