Si avvicina il Natale per le tradizioni cristiane, la fine dell’Anno civile per gran parte dei Paesi nel Mondo. Occasione di feste, ricordi, rimpianti, progetti: i cuori e le menti si riempiono di attese e desideri, ma forse non in tutti i cuori c’è quella speranza vera che fa sgorgare vita.
In un piccolo villaggio della savana, dove il sole era implacabile e la terra si era spaccata per la lunga siccità, c'era un albero, il Kanga. Era l'albero più vecchio e saggio, e i suoi rami, sebbene spogli e grigi, si protendevano ancora verso il cielo.
Tutti gli abitanti del villaggio, stanchi e disperati, avevano smesso di guardare in alto. Le loro mani erano vuote, i loro campi aridi, e le loro menti erano piene solo di preoccupazione per il giorno dopo. L'anziano Jengo, il capo del villaggio, si sedeva ogni giorno sotto il Kanga, scuotendo la testa con tanta sfiducia nel cuore.
Un giorno, una bambina di nome Amara si avvicinò a Jengo. Amara non aveva mai visto la pioggia, ma i suoi nonni le avevano raccontato storie di ruscelli, foglie verdi e raccolti abbondanti.
"Nonno Jengo", chiese Amara con voce incerta, "perché l'albero Kanga non muore come gli altri alberi? Ha sopportato tanti anni di sole, perché i suoi rami non si spezzano e non cadono come per gli altri alberi?"
Jengo alzò lo sguardo sui rami intrecciati. "Il Kanga ha radici profonde, figlia mia. Non vive solo per l'acqua che beve, ma per l'acqua che ricorda e aspetta".
"Aspetta?" Amara era confusa. "Ma la pioggia non viene più".
Jengo prese un lungo respiro e le indicò un piccolo rigonfiamento all'estremità di un ramo, appena visibile. "Guarda attentamente. Lì c'è un germoglio nascosto. Non è ancora una foglia, è solo una promessa. L'albero, anche se non vede una nuvola, sa che l'acqua tornerà. Ha memorizzato il ritmo della vita. Le sue radici rimangono ancorate, pronte ad assorbire ogni singola goccia quando arriverà".
Quella sera, Amara raccontò a tutti nel villaggio del "germoglio nascosto" e delle radici che ricordano. La sua voce non era piena di lamento, nostalgia ma anche di nuova visione illuminata dal desiderio.
Le persone, per la prima volta da mesi, alzarono gli occhi. Iniziarono a pulire i vecchi canali di scolo, non perché vedessero nuvole, ma perché, come l'albero, iniziarono a prepararsi per l'abbondanza. Iniziarono a condividere quel poco che avevano, a sorridere l'uno all'altro, rafforzando le loro radici umane.
Non era la fede in una divinità a muoverli, ma la speranza e la certezza di una verità naturale: la vita torna sempre, ma solo chi è pronto a coglierla può prosperare.
Quando, settimane dopo, le prime pesanti gocce caddero, il germoglio nascosto del Kanga si schiuse in una foglia di un verde brillante. Il villaggio non fu colto di sorpresa; erano già fuori, con i canali puliti e il terreno preparato, pronti per la loro rinascita.
Nei cuori di tutti risuonava il messaggio di speranza: anche nei momenti più aridi (come la fine di un ciclo o l'attesa di un momento migliore), la speranza non è qualcosa di magico o esterno. È la preparazione interiore, il ricordo della gioia passata e la fiducia incrollabile che la rinascita (la pioggia) arriverà, e che l'impegno della comunità renderà il momento del suo arrivo ancora più fruttuoso.
Come recita un saggio proverbio swahili: "Penye nia pana njia", dove c'è volontà, c'è il cammino.
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