Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Comincia con darti da fare

New York 04.09.2020 Dialogo raccolto da Jpic-jp.org Tradotto da: Jpic-jp.org

Siamo a Pikine, nella periferia di Dakar, in Senegal. Chi parla è padre Armel Duteil, un missionario spiritano di 80 anni. Francese di origine, ha trascorso gran parte della sua vita in Africa - Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio e infine Senegal -. Molti missionari non credono che la soluzione alla povertà in Africa sia l'emigrazione. Le soluzioni possono essere trovate sul posto. Con l'immaginazione, la buona volontà e la collaborazione di tutti, non è sempre necessario fuggire per avere una vita pacifica, felice e dignitosa.

Quando sono arrivato a Pikine, ho trovato tre problemi. Per la maggior parte della gente, la Caritas parrocchiale era un'organizzazione per distribuire denaro, cibo, vestiti o medicine. Lo scopo della Caritas, per loro, era aiutare i cristiani. La parrocchia, i membri della Caritas, e i cristiani in generale, erano centrati su se stessi e poco coinvolti nei quartieri e nella società civile.

Il primo passo è stato far capire alla gente che la Caritas non è l'aiuto della Chiesa ai cristiani, ma l'aiuto dei cristiani ad ogni persona e famiglia bisognosa, cristiana o musulmana che sia. Il secondo è stato non contare più sulle donazioni dall'esterno, che creano dipendenza, mendicità e portano le persone a cercare soluzioni ai problemi fuori dal Paese. Fare affidamento prima sulle proprie forze e cercare di agire da soli con piccoli mezzi e progetti, è stato il terzo passo.

Era quindi necessario rivedere la composizione della Caritas e passare da un piccolo gruppo di persone generose che si ritrovano tra di loro, senza alcun impatto sulla vita della parrocchia e sulla vita cristiana, alle CEB, le comunità cristiane di base. Ognuna di queste ha quindi scelto un delegato alla Caritas parrocchiale e lo stesso hanno fatto i vari gruppi e movimenti parrocchiali (scout, corali, chierichetti e lettori della domenica, le donne cattoliche, i gruppi giovanili, ecc.).

Alle riunioni della Caritas, i delegati portano i problemi della base e i casi concreti che devono essere aiutati. Tornando nei loro gruppi, riportano le riflessioni e le proposte d’azione della Caritas per metterle in pratica.

La parrocchia riceve molte richieste di aiuto e di ogni tipo: cibo, vestiti, medicine, alloggio, lavoro, ecc. Vengono trasmesse alle CEB dove si sa se la persona ha effettivamente bisogno e dove si sa cosa fare per aiutare in modo efficace. Se la richiesta fosse troppo grande, ad esempio per un'operazione costosa, la parrocchia collabora o invita a fare richiesta alla Caritas diocesana. Ma ogni volta la CEB deve prima fare qualcosa: la gente impara ad accogliersi, sostenersi e aiutarsi a vicenda.

Ogni CEB ha quindi avviato un piccolo progetto comunitario, anche semplice, come coltivare un orto, allevare polli, capre o anatre, tutto ciò che è possibile in un cortile o su una terrazza di città. Se sono progetti di produzione - allevamento, orto, artigianato, ecc. - la parrocchia li sostiene. Per attività commerciali, aiuta solo gruppi di donne povere e le vedove. La parrocchia cerca di trovare lavoro per i bisognosi o di fornire loro i mezzi per un’attività che permetta loro di guadagnarsi da vivere.

Accanto al supporto materiale, la Caritas fornisce supporto morale. Ha aiutato le vedove, ad esempio, a riunirsi in modo che potessero incontrarsi, conoscersi, scambiarsi consigli. La Caritas le ha aiutate ad avviare alcune attività e ha provocato una riflessione, a livello parrocchiale, sui costumi che le riguardano. Nella maggior parte dei gruppi etnici, con modalità diverse, le vedove sono vittime d’ingiustizie: molte volte sono abbandonate, spesso cacciate via dalla casa dei mariti defunti con i figli, talvolta soggette a numerosi divieti.

Queste esperienze hanno spinto la parrocchia ad un lavoro di formazione. Prima di tutto per far capire ai cristiani che si deve aiutare tutti. Gesù ha detto: voi siete il sale della terra (non solo della parrocchia), siete la luce del mondo (non solo della Chiesa), siete il lievito nella massa, quindi nel quartiere e nella società, non solo nella parrocchia.

A questo livello, la Caritas lavora in collaborazione con le Commissioni di Giustizia e Pace, e dell’Ecologia e lo fa promovendo anche azioni concrete come invitare a pulire il quartiere, piantare un albero in casa, avere bidoni per la sporcizia e lavarli quando si svuotano, non gettare acqua sporca in strada e immondizia nei tombini perché questi si intasano e provocano allagamenti nella stagione delle piogge. In questo modo si è arrivati a coinvolgere il Coordinamento Pastorale Giovanile della Parrocchia, l'associazione SOPPI JIKKO, che aiuta le persone a uscire dalla droga, e chi si dedica alla formazione civica sul Decentramento che sta alla base dell'azione della parrocchia nella società civile e nella sua collaborazione con i comuni.

Per concludere, la Caritas incoraggia e sostiene, con l'associazione delle donne cattoliche, la formazione tecnica alla tintura e alla produzione di sapone artigianale e, con il gruppo Pencum Mariama, progetti di cucito e pranzi in occasione soprattutto di feste religiose e civili.

Foto. Pikine durante l’inondazione. © Irin

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I commenti dai nostri lettori (1)

Margareth Herdeson 02.11.2020 Personally I have not had anything to do with Caritas but they sound immensely impressive. The article made me think of an incident at the night shelter, one I am a bit reluctant to narrate as it sings our own praises. Anyone, one of the first men to stay there was a very wild, alien looking man from Afghanistan with a huge shaggy beard. He had some oral English but couldn’t read or write in the language. At that time, I spent the night in the hall with the men about twice a week, to make sure there were no incidents. It was very clear that the Afghani was very agitated. He did not mean to make trouble but he prayed frantically much of the night, disturbing the others. I couldn’t think what to do to help him till suddenly I had the idea of spending some time alone with him every evening, teaching him to read in English. To my surprise, he was a responsive learner and at the same time he began to sleep much better. A couple of months later, he told me he had won his asylum case and would no longer need to stay with us. Then he went on to tell me an amazing story. That day, he had gone to Glasgow’s Central Mosque to listen to a sermon by a very distinguished mullah who had come from some far flung place for this occasion. There were many hundreds gathered to hear him speak. During the lecture, the mullah stated that the only good people in the world were good Muslims. At that, our night shelter guest dared to stand up and contradict him saying “You are mistaken. The best people in Glasgow are the unpaid volunteers who look after destitute asylum seekers in the night shelter, regardless of their race or religion!” To my surprise, the man was not flung out of the mosque for this. Indeed, through him drawing attention to what we were doing, we began to receive regular donations of food from various mosques.