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L’Africa punta a diventare una potenza globale green

Rivista Nigrizia 11.09.2025 Nigrizia Tradotto da: Jpic-jp.org

Concluso in Etiopia il secondo vertice UA sul clima. Il continente si propone di raccogliere 50 miliardi di dollari all’anno per soluzioni climatiche e altri 100 miliardi per la produzione di energia verde (Vedi L’Africa punta a diventare una potenza globale green).

Si è concluso ad Addis Abeba, in Etiopia, il secondo vertice dell’Unione Africana sul clima (ACS2), incontro preparatorio in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP30) in programma a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre. Un appuntamento al quale i paesi africani intendono presentarsi con programmi, richieste, proposte e priorità unitarie.

Dal documento conclusivo del vertice, la Dichiarazione di Addis Abeba, emergono tre pilastri principali: accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili, formare una coalizione di paesi che possiedono minerali essenziali per garantire un valore equo nelle catene di approvvigionamento globali, e proteggere il patrimonio naturale attraverso partnership per la riforestazione e il ripristino del verde.

Obiettivi

Trasformare il continente in una potenza industriale green per energie rinnovabili e soluzioni climatiche, reclamando al contempo dalla comunità internazionale finanziamenti equi e garantiti.

In particolare, nella Dichiarazione si chiede “un sostegno rafforzato e duraturo per ampliare l’attuazione delle iniziative climatiche guidate dall’Africa, come l’African Union Great Green Wall Initiative, l’African Forest Landscape Restoration Initiative, l’Ethiopian Green Legacy Initiative, tra le altre”.

“La nostra visione è chiara. Ci impegniamo a forgiare un continente prospero, resiliente e verde”, ha affermato il presidente etiope Taye Atske Selassie. “È un’ingiustizia che oltre 600 milioni di africani vivano ancora senza accesso all’elettricità. La nostra azione per il clima deve iniziare con massicci investimenti nelle energie rinnovabili e un appello alla giustizia climatica”.

“Le richieste africane di finanziamenti per il clima non sono appelli alla carità. Sono appelli all’equità, alla giustizia e alla responsabilità globale condivisa”, ha aggiunto il Commissario dell’UA per gli Affari Politici, la Pace e la Sicurezza, Bankole Adeoye. “L’Africa non è un problema da risolvere. L’Africa è una soluzione da sostenere”.

Cosa si chiede

Il continente ha bisogno di oltre 3mila miliardi di dollari per raggiungere i suoi obiettivi climatici entro il 2030, fanno notare i leader africani, ma ha ricevuto solo 30 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2022. In attesa di finanziamenti esterni che arrivano col contagocce l’Africa punta a reperire 50 miliardi di dollari all’anno per soluzioni di resilienza alla crisi climatica attraverso due nuovi strumenti finanziari interni: l’Africa Climate Innovation Compact e l’African Climate Facility. I leader africani hanno inoltre siglato un accordo tra finanziatori dello sviluppo africani e banche commerciali per mobilitare altri 100 miliardi di dollari per investimenti nella produzione di energia verde.

L’Africa contribuisce per meno del 4% alle emissioni globali di gas serra ma è tra le regioni più vulnerabili agli impatti della crisi climatica. Il continente perde dal 2 al 5% del suo PIL ogni anno a causa di disastri climatici. Secondo l’Unione Africana, oltre 100 milioni di persone in tutto il continente sono a rischio immediato, per siccità, alluvioni o cicloni, mentre i conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche e territoriali continuano ad aumentare. Cambiamento climatico in Africa: costa tra il 5 e il 15% del Pil pro capite

La grande bufala della transizione energetica

Parlano chiaro i dati di un corposo studio internazionale dal titolo “Chi sta finanziando l’espansione dei combustibili fossili in Africa?”, una ricerca di Urgewald, Stop Eacop, Oilwatch Africa, Africa Coal Network e altre 33 Ong africane impegnate nella denuncia su violazioni dei diritti umani e danni ambientali: il business dell’energia inquinante è in piena espansione nel continente, guidato da investitori stranieri e finanziato da banche commerciali, guidato da Total, Eni e Sonatrach.

Per gli africani benefici zero, per il pianeta danni enormi.

Il rapporto svela le ipocrisie, i proclami, i piani e le politiche fatti di una realtà: la corsa ai combustibili fossili in Africa è in pieno svolgimento e coinvolge 200 aziende che stanno esplorando o sviluppando nuove riserve di combustibili fossili e nuove infrastrutture come terminali di gas naturale liquefatto (Gnl), gasdotti o centrali elettriche a gas e carbone. Compagnie petrolifere, del gas e del carbone – con banche, investitori e assicuratori, che assicurano loro i finanziamenti – che lavorano in 48 dei 54 paesi africani. Anche trivellando in aree naturalistiche o a ridosso di zone patrimonio dell’Unesco.

Il report rivela che l’89% della nuova capacità di Gnl in Africa è in funzione dell’esportazione (principalmente in Europa e Asia) e che gli investitori internazionali detengono oltre 109 miliardi di dollari delle società che guidano l’espansione dei combustibili fossili in Africa: «progetti di energia sporca completamente incompatibili con gli obiettivi climatici di Parigi e il limite di 1,5° centigradi», afferma Omar Elmawi, della campagna Stop Eacop.

E’ dal 2017 che in 886mila km2, un’area più grande di Francia e Italia, sono state autorizzate nuove esplorazioni di petrolio e gas. Dei 45 paesi africani, dove l’industria petrolifera e del gas sta cercando nuovi reperti, 18 sono i chiamati “paesi di frontiera”, come Namibia, Uganda o Somalia perché hanno poca o nessuna produzione esistente di petrolio o gas.

Nel rapporto si citano i dati di Rystad Energy dove si nota che le spese per l’esplorazione di petrolio e gas in Africa sono passate da 3,4 miliardi di dollari nel 2020 a 5,1 miliardi di dollari nel 2022: le società africane sono presenti per meno di un terzo di questa somma. La maggior parte dell’esplorazione di nuove risorse di petrolio e gas in Africa viene effettuata e finanziata da società straniere.

Le società implicate

Prima fra tutte è la francese Total Energies con il 25% della sua produzione di idrocarburi dall’Africa che mira ad aumentarla fino a 2,27 miliardi in barili di petrolio. L’estrazione e la combustione di queste risorse equivarrebbero a tre anni di emissioni annuali di gas serra della Francia.

Al secondo e terzo posto ci sono la compagnia petrolifera e del gas algerina di proprietà statale Sonatrach (1,75 miliardi di barili di petrolio) e l’italiana Eni (1,32 miliardi di barili). Complessivamente, le compagnie petrolifere e del gas stanno aggiungendo almeno 15,8 miliardi ai loro portafogli in produzione di petrolio in Africa prima del 2030. Si tratterebbe di 8 Gigaton di CO2eq (unità di misura dell’impatto sul clima dei gas serra) rilasciati nell’atmosfera. Più del doppio della quantità emessa ogni anno dai paesi dell’Unione Europea.

Le infrastrutture - condutture e terminali Gnl - sono costose: quelle della Total Energies costeranno oltre 5 miliardi di dollari per funzionare almeno 20 anni; il progetto Rovuma Gnl di ExxonMobil ed Eni in Mozambico e il progetto Tanzania Gnl di Equinor sono stimati ciascuno in 30 miliardi di dollari, con funzionamento di 30 anni.

La morte delle fonti rinnovabili

Questi progetti genereranno miliardi di dollari ma bloccheranno le speranze di un cammino verso le fonti rinnovabili: “ottenere il pieno accesso all’energia moderna in Africa entro il 2030 richiederebbe investimenti per 25 miliardi di dollari l’anno”, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, una cifra paragonabile al costo di un solo grande progetto Gnl.

“La dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili è uno dei principali motori dietro i nuovi progetti di Gnl in Africa. La corsa per il petrolio e il gas dell’Africa non ha nulla a che fare con l’aumento dell’accesso all’energia per gli africani”, afferma Anabela Lemos, direttrice di Justiça Ambiental.

Anche l’industria del carbone continua ad espandersi nel continente. Miniere e infrastrutture di trasporto del fossile sono già pianificate o in fase di sviluppo in 11 paesi africani. Nello Zimbabwe, un paese dove il 47% della popolazione non ha accesso all’energia elettrica, per esempio, è previsto un grosso piano di sfruttamento di combustibili. Attualmente sono in azione 70 nuove miniere di carbone in 9 paesi africani: il maggior numero in Sudafrica (49), Zimbabwe (6), Botswana (5) e Mozambico (4). Nonostante l’Africa abbia un grande potenziale di energia rinnovabili!

Secondo il report a luglio 2022 oltre 5mila investitori istituzionali detenevano azioni e obbligazioni per un totale di 109 miliardi di dollari in aziende che sviluppano nuovi progetti di combustibili fossili in Africa. Il più grande investitore istituzionale nell’area in Africa è BlackRock, con partecipazioni di oltre 12 miliardi di dollari. Altri sono Vanguard (8,4 miliardi di dollari) e il Fondo pensioni del governo norvegese (3,7 miliardi di dollari).

Anche le banche commerciali versano capitali nello sviluppo di nuovi progetti fossili in Africa: oltre 98 miliardi di dollari tra gennaio 2019 e luglio 2022. Tra loro anche banche italiane: UniCredit (2,163 miliardi) e Intesa Sanpaolo (1,491 miliardi) che sostengono i progetti oil&gas, in particolare dell’Eni. Nel 2021, Eni era in Africa la seconda  multinazionale estrattiva per attività. Il 59% della sua produzione globale arriva dal continente africano e si prevede un aumento nei prossimi anni di 1,32 miliardi di barili. 14 i paesi africani dove l’Eni è presente. Tra questi Egitto, Nigeria, Libia, Algeria e Repubblica del Congo, Angola e Mozambico. Proprio in Mozambico, nelle aree più ricche di gas, è in corso da anni un’insurrezione armata guidata da un movimento jihadista che dal 2017 ha causato oltre 4mila vittime e 800mila sfollati, tra cui la suora comboniana Maria De Coppi.

Secondo il rapporto, il 71% del sostegno bancario per i combustibili fossili in Africa proviene da banche che sono membri della Net Zero Banking Alliance. “Questa corsa al gas africano come risposta alla crisi energetica che sta interessando l’Europa non promette bene” e sicuramente non aumenterà l’accesso all’energia per gli africani. I suoi profitti fluiranno in modo schiacciante verso un’élite globale, mentre le comunità locali saranno nuovamente lasciate ad affrontare l’inquinamento, l’impoverimento e le violazioni dei diritti umani che sono il segno distintivo dello sviluppo dei combustibili fossili e a carbone in Africa (Vedi Antonella Sinopoli in Rivista Nigrizia).

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